Per fortuna esiste un cinema che non usa la pandemia per l’ennesima distopia, che non si serve del Covid per costruire parabole allegoriche, che non ricicla vecchie idee sfruttando le ripercussioni sull’attualità. Nella bolla, perlomeno, ricorre alla commedia, e in più particolare alla parodia. Meno male, però da un autore come Judd Apatow era lecito aspettarsi di più.

Nella bolla, nei fatti, non è una parodia della pandemia, ma una commedia su come l’America ha affrontato la pandemia, esorcizzando ansie e paure e giocando con i contraccolpi dei protocolli sanitari.

È anche un film sul fare film, tra Effetto notte e Tropic Thunder, che racconta la rocambolesca produzione del sesto episodio di un franchise: chiusi in un castello inglese per concludere le riprese in sicurezza, i membri del cast, isolati e in fuga dal mondo, si abbandonano a sesso occasionale, paranoie emotive, viaggi acidi, festini dissoluti.

Apatow e la co-sceneggiatrice Pam Brady (South Park – Il film e Team America: World Police nel curriculum) partono dal Covid per svelare come, nel dietro le quinte di un’imponente operazione commerciale, un imprevisto epocale possa far deflagrare i fragili equilibri tra le varie personalità in campo.

Raccontando persone intrappolate in una bolla, vincolate alle esigenze dei servizi d’ordine e sottoposte agli ordini – e alle paranoie – della produzione, Apatow si focalizza su star in caduta libera personale e professionale (Karen Gillan) o in preda alle dipendenze (Pedro Pascal), ossessionate dal lavoro (David Duchovny) o dalla propria immagine pubblica (Keegan-Michael Key), tiktoker chiamate a rimpolpare il parco attori (Iris Apatow) e registi indie venduti alle major (Fred Armisen).

Arrivato su Netflix a due anni dallo scoppio della pandemia, Nella bolla sembra avere il fiato corto come atipico instant movie e non riesce a farsi testo autonomo rispetto alle contingenze dell’attualità. Ha il respiro corto quando fa ironia sulle modalità di lavoro sotto Covid, nel criticare il cinema ridotto a scenario digitale che pensa di fare a meno dell’elemento umano, come riflessione parodica su cosa sia il cinema mainstream oggi (la reiterazione che impone l’istituto del franchise).

David Duchovny, Via Das as Ronjon, Pedro Pascal as Dieter Bravo, Karen Gillan as Carol Cobb, Keegan-Michael Key as Sean Knox, Harry Trevaldwyn as Gunther in The Bubble.  Cr. Laura Radford/Netflix © 2021
David Duchovny, Via Das as Ronjon, Pedro Pascal as Dieter Bravo, Karen Gillan as Carol Cobb, Keegan-Michael Key as Sean Knox, Harry Trevaldwyn as Gunther in The Bubble.  Cr. Laura Radford/Netflix © 2021
David Duchovny, Via Das as Ronjon, Pedro Pascal as Dieter Bravo, Karen Gillan as Carol Cobb, Keegan-Michael Key as Sean Knox, Harry Trevaldwyn as Gunther in The Bubble. Cr. Laura Radford/Netflix © 2021
David Duchovny, Via Das as Ronjon, Pedro Pascal as Dieter Bravo, Karen Gillan as Carol Cobb, Keegan-Michael Key as Sean Knox, Harry Trevaldwyn as Gunther in The Bubble. Cr. Laura Radford/Netflix © 2021

Che appaia come “contenuto” di Netflix è singolare: da una parte Nella bolla dialoga con l’idea dello spettatore che, al tempo della pandemia, fruisce di un film senza rendersi conto di essere a sua volta dentro una bolla; dall’altra si prende gioco dell’industria che ripete all’infinito una formula (l’unica?) vincente per difendere il presidio tradizionale della fruizione, la sala, in una sterile guerra contro le piattaforme.

Ogni tanto si sorride, l’idea ha una sua dignità ma da Apatow – che non dà l’idea di “togliersi sassolini”, tant’è che il parterre umano sconfina più nella parodia sopra le righe che in un ripensamento grottesco – ci si aspetta un maggiore equilibrio nel dosare comicità grossolana e impatto emotivo, gestione della coralità e attenzione al singolo, grado zero dell’intrattenimento e senso del tempo che passa. È un bel passo indietro rispetto al capolavoro Il re di Staten Island: che si torni alle atmosfere del bellissimo Questi sono i 40, per favore.