Ci risiamo. Ancora una volta. Tre anni dopo Rogue Nation Christopher McQuarrie si impone senza più dubbio alcuno quale miglior regista – sì, anche più di Brian De Palma – di una saga che, ormai, non ha veramente più nulla da invidiare ad omologhi cinematograficamente più duraturi (e osannati), quali James Bond.

Sì, perché Tom Cruise/Ethan Hunt (56 anni…) – il suo patto con il diavolo per la giovinezza eterna è palese – continua come se nulla fosse a saltare da un palazzo all’altro, a sfrecciare in moto contromano sugli Champs-Élysées di Parigi, a gettarsi da un aereo in volo e a rimanere appeso su elicotteri in decollo (sempre, o quasi, rigorosamente senza controfigure), ma allo stesso tempo inizia ad emergere in lui il peso emotivo di un passato impossibile da abbandonare (la moglie, Michelle Monaghan, “lasciata” ad un’altra vita per garantirle tranquillità e sicurezza) e di un presente dove le scelte da affrontare mettono sempre più in conflitto la sua morale, trovandosi mai come in questa occasione in una situazione che trascende il suo controllo, sempre più manipolato ma al tempo stesso impossibilitato a tornare indietro.

Si risveglia da un incubo, a Belfast, Ethan Hunt. Ed è qui che riceve l’ordine di una nuova missione: recuperare una valigetta di plutonio prima che finisca nelle mani sbagliate. Che poi sono sempre quelle del “Sindacato”, organizzazione criminale formata da ex agenti e spie di tutto il mondo decisa a creare un nuovo ordine sotto la guida di Solomon Lane (Sean Harris), già catturato nel precedente Rogue Nation ma tutt’altro che distolto dall’idea di vendicarsi, in primis proprio di Hunt.

Inizia così il solito giro del mondo, prima tappa Berlino, per mettersi sulle tracce di un misterioso e facoltoso finanziatore artefice del rapimento di un esperto in armi nucleari. Compromessa la missione per salvare la pelle ai compagni di sempre (Ving Rhames e Simon Pegg), Ethan Hunt dovrà rimediare inserendosi al previsto incontro tra il sedicente Lark e l’intermediaria Vedova Bianca (Vanessa Kirby), femme fatale suadente e letale. E a gettarsi nel vuoto del cielo parigino non sarà solo, ma “accompagnato” dall’agente CIA Walker (Henry Cavill), presenza imposta dall’alto per evitare che la squadra IMF perda nuovamente il controllo della situazione.

È un tour de force incredibile, fatto di doppio/triplogiochismi continui, di salti nel vuoto (in tutti i sensi) e corse a perdifiato (il classico marchio di fabbrica di ogni action con Tom Cruise protagonista): Fallout segna contestualmente le ricadute e la rinascita di una saga bell(issim)a e impossibile, capace ogni volta di autodistruggersi e autorigenerarsi senza soluzione di continuità. Anche se, mai come stavolta, il film sembra la più naturale conseguenza, o meglio “ricaduta” appunto, del precedente Rogue Nation.

 

Certo, non tutto è perfetto, l’ultima mezzora in Kashmir (al netto di un inseguimento tra elicotteri che lascia a bocca aperta) poteva essere gestita narrativamente meglio, ma al contempo è il colpo di coda dove inserire un ulteriore MacGuffin quasi a voler motivare ulteriormente (non che ce ne fosse poi chissà quale bisogno) il protagonista che, proprio come nell’episodio precedente, è costretto a barcamenarsi con il personaggio di Ilsa Faust (straordinaria, meravigliosa Rebecca Ferguson), nuovamente sulla sua strada e costretta – anche lei – a dimostrare fedeltà ai suoi superiori.

Uno spettacolo continuo, già premiato negli States dove – nel primo weekend di programmazione – ha incassato 61,5 milioni di dollari, il miglior risultato di sempre (comunque in linea con il precedente) per un episodio della saga.

In Italia dal 29 agosto.