Il processo creativo è quel procedimento che porta, attraverso una progressione di pensieri ed azioni compositive, all’evoluzione di un’idea nella sua forma finale. Le fasi preliminari per la stesura di un film ne sono un perfetto esempio. Tale procedura è vincolata all’essere di ogni autore ed autrice che concepiscono l’operazione in modo del tutto personale, scegliendo di chiudersi nel proprio universo di ispirazioni, facendosi coinvolgere e spesso travolgere dalle vicende escogitate.

In Mindemic, opera zero di Giovanni Bassi prodotta da Magnet Film e distribuito da Azimut Distribuiton, questo serrarsi (e asserragliarsi, come si vedrà) senza via di uscita nel calderone indefinito della creazione artistica, prenderà pieghe inaspettate, incomprensibili in un mescolarsi di realtà e finzione.

Nino è un regista settantenne, inattivo ormai da molti anni. Mentre è intento a mangiare un gustoso piatto di carbonara nella sua abitazione dove vive in solitudine, riceve la chiamata del suo storico produttore che gli commissiona una nuova sceneggiatura. Eccitato dalla nuova sfida e deciso ad emergere da quel “viale del tramonto” che lo attanaglia da tempo, spolvera la sua Olivetti Lettera 32 e invocando i più grandi maestri, Fellini, Antonioni, Cassavetes e i cult movie come Ben-Hur, Accattone e Taxi Driver, inizia il lavoro di scrittura. E sotto l’enunciato inciso su piccolo pezzo di carta incollato alla macchina da scrivere, “Non di vivere mi ravvivo ma di cinema sopravvivo”, Nino sceglie di lasciarsi ispirare dalla potenza delle immagini cinematografiche per creare il “miglior film che sia mai stato fatto”.

L’uomo decide di realizzare una pellicola di guerra e per avere supporto ed aiuto, contatta i collaboratori più fidati, dallo sceneggiatore all’attore che lo considera suo mentore, che però rifiutano senza troppi giri di parole. La soluzione a queste defezioni? inscenare lui stesso le pagine che sta scrivendo e, con un ghiacciolo al limone in bocca, interpretandone i personaggi, tutti soldati durante la guerra (non una in particolare) che tentano di salvare una donna misteriosa, seppur non così sconosciuta nelle fattezze.

Gli atti procedono, le pagine si riempiono di azioni e personaggi che mano mano sembrano catapultarsi fuori da quelle righe per mescolarsi alla quotidianità di Nino, il quale comincia ad immergersi inconsapevolmente nel delirio, rappresentato dal graduale combaciare della sua quotidianità vissuta con la moglie, il relazionarsi con amici collaboratori e la storia fittizia che vuole raccontare.

Il vortice di sensazioni e ragionamenti, acuiti dall’essere imprigionato in un luogo chiuso, ansiogeno ed evocativo di una vita forse mai vissuta, genera un cortocircuito mentale da cui l'uomo non riesce a sottrarsi, generando in modo prepotente e subdolo, il neologismo del titolo: “mindemic”, ovvero qualcosa che turba la mente e vi rimane dentro per un tempo illimitato. Cosa è frutto dell'immaginazione corrotta dall’assottigliarsi della linea di demarcazione tra il reale e il non reale? Difficile evincerlo.

E nell’ascesa dell’inconsapevolezza nel comprendere cosa stia accadendo, rispondendo alla volontà umana di razionalizzare anche quello che non può essere verificato, il protagonista (con il volto dell’eccezionale Giorgio Colangeli) trascina lo spettatore nel tumulto di una mente, a questo punto, definitivamente alienata.

Strutturata come metafora della vita creativa dell’artista, l’opera ideata durante il lockdown, da cui eredita le sensazioni di costrizione e spaesamento, diviene storia universale sull’insicurezza e sul concetto di abbandono degli schemi tradizionali di composizione. Distacco dalla norma evidenziato anche dalla scelta del regista di girare interamente con un Iphone, sfruttando così le possibilità tecnico-artistiche del mezzo, come libertà di azione e agilità di ripresa, mettendo a fuoco quel senso di isolamento “pandemico” della mente e del corpo.