Di ciò di cui non si può parlare si dovrebbe tacere. Vale anche per le immagini in movimento. Sicché Mark Cousins, cui si deve la monumentale The Story of Film: An Odissey, fa meritoriamente il suo allorché analizza fotogramma per sequenza A Noi di Umberto Paradisi (1922) e fa male quando fa (quasi) tutto il resto, vale a dire invocare l’iconoclastia, diciamo così, per i lasciti architettonici del fascismo, riservare un peana ai ragazzi del Piccolo America, fare – letteralmente – di tutta l’erba un fascio e buttarla in caciara, annoverando Orban, Meloni, Putin e Mariupol come epigoni del Duce e compagnia marciante.

Evento Speciale Fuori Concorso alla XIX edizione delle Giornate degli Autori, prodotto da PalomarDOC e Luce Cinecittà in collaborazione con il Saggiatore, distribuito in sala dal 20 ottobre da I Wonder Pictures in occasione del centenario (chissà che non si festeggi in presenza, dopo il 25 settembre…), Marcia su Roma prende spunto dalla rilettura filologica di A Noi, documento ufficiale del Partito Fascista sulla genesi del governo presieduto da Benito Mussolini.

Mark Cousins sul set di Marcia su Roma

Scritto da Cousins e Tony Saccucci, autori del soggetto con Tommaso Renzoni, espande malamente la prima parte, l’anamnesi filmo e ideologica del reperto, ma c’è di peggio: la presenza inopinata, inconsulta, e tacciamo di quando canta Bella Ciao sul finale, adi Alba Rohrwacher, che – citiamo, perché non è chiaro – “incarna il sentimento della gente comune, dapprima esaltata sostenitrice del regime e poi disillusa e critica”.

“L’Italia - dichiara Cousins - è il Paese che mi ha maggiormente ispirato a livello visivo, sono quindi entusiasta di realizzare proprio qui un film sulla cultura delle immagini”, ma tocca, ehm, a noi scontare la pena del contrappasso: laddove esula dall’analisi filmica, Marcia su Roma sta alla realtà del fascismo – a parte forse la convergenza massonica su Mussolini, invero buttata lì senza troppo approfondire… - come To Rome with Love alla realtà dell’Italia.