La simbologia dietro a spettri e presenze è ormai data per assodata, soprattutto nelle letture moderne dell’horror giapponese o del fantasy politico: il passato che torna, i crimini a raggio più o meno ampio da riparare se non proprio vendicare. Per questo tanto di cappello a Beatriz Seigner che con Los silencios (alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2018) cerca di reinventare e dare un contesto diverso a quella simbologia.

Partendo innanzitutto dal luogo: il film è ambientato in un’isola amazzonica al confine tra Brasile, Colombia e Perù sulla quale una famiglia - madre e due figli - si trasferisce dopo che il conflitto armato colombiano e un grave incidente che le ha ucciso il marito la costringono a partire. Ma un giorno, all’improvviso, il marito appare nella nuova casa, silenzioso. Un dramma socio-politico (scritto dalla stessa regista) in cui le presenze spettrali che poco a poco popolano il film non ne trasfigurano la sostanza ma anzi, la ribadiscono.

Los silencios comincia con la costruzione del mistero e dell’atmosfera adatta per comunicarlo, partendo dal non luogo, simbolicamente al confine di tre paesi e quindi di proprietà di nessuno, circondato da acque che affondano le case periodicamente, e proseguendo con un encomiabile lavoro su suoni e rumori (e silenzi ovviamente: merito di Gustavo Zysman Nascimiento).

Poi però, nonostante il valore metaforico già evidente e intrinseco, Seigner ci tiene a svelare il mistero, a scoprire il simbolo, a farne un evidente (nell’uso di colori fluorescenti) modo per veicolare una battaglia politica a cui non dà il giusto valore visivo, sprecando le possibilità visionarie della precedente costruzione.

 

Los silencios diventa così un film più piatto e banale del suo potenziale e probabilmente delle intenzioni dell’autrice, che passa in questo modo da suggestioni di Weerasethakul a una sorta di rilettura del cinema di Ken Loach, fatte le dovute differenze; e non sarebbe un problema di per sé, ma a Seigner manca la spinta, la forza, anche il vigore emotivo dopo quello visionario. Per cui un tentativo reso ancora più rispettabile dal lavoro su volti e attori, resta un tentativo. E non un film davvero riuscito.