Lo Spietato, prodotto da Bibi Film e Rai Cinema ma, soprattutto, distribuito da Netflix, parte in quarta. Riccardo Scamarcio, nel ruolo del protagonista Santo Russo, si prepara: dal suo attico vista Duomo e la sua collezione di orologi alla strada sfrecciando sulla sua Lamborghini è un attimo.

Nello spazio di poche inquadrature intuiamo molto di lui: è un uomo ricco, potente, ma non certo uno sprovveduto. Si gode il potere che ha conquistato, faticosamente, lentamente, venendo da lontano.

È davvero una delusione quando, invece di entrare a gamba tesa in una trama oscura, sorprendente, violenta, il film fa un risoluto passo indietro per, letteralmente, raccontarci la storia “dall’inizio”.

Il flashback evocato dalla voce narrante prende la curva lunghissima: è un ritorno alla prima adolescenza del protagonista, al suo viaggio dalla Calabria ai sobborghi lombardi, lungo una lenta evoluzione da giovane scappato di casa a sfrontato delinquente, prima, e signore del crimine d’impresa, poi.

Non che le origini del personaggio non siano, di per sé, godibili. Tuttavia, l’enfatico slancio iniziale risulta una falsa partenza, con il solo effetto di toglierci ogni preoccupazione per la salvezza di Russo. Aspettiamo con ansia il ritorno al punto di partenza, ma non arriviamo che a pochi minuti dalla fine del film.

Evidente, in cabina di regia, l’ispirazione ammirata ai classici del genere anti-poliziesco (Goodfellas), e dell’anti-protagonismo (The Wolf of Wall Street). Scamarcio veste bene l’arco del suo personaggio, donandogli la profondità che merita, d’altronde, uno sviluppo distribuito lungo più di vent’anni.

Quella di Santo Russo è una vita che presenta un conto piuttosto salato a chi la desideri. Col senno di poi, lo stesso protagonista non può non chiedersi se sia valsa la pena di vendere l’anima per pagare i debiti.

La vena ironica e da gangster comedy del regista, Renato De Maria, ricorre in fotogrammi salienti del film e diventa chiave interpretativa, carismatica e caratteriale, degli spunti di Manager Calibro 9 (Garzanti). Da quest’ultimo libro, ben più saldamente biografico, si ispira liberamente il soggetto de Lo Spietato.

Punto di forza è la colonna sonora, curata da Alberto Sinigallia: tutta italiana, tra il mangiadischi e l’elettronica, ben sottolinea gli stessi momenti clou, evidenziandone anche il conflitto, che altrimenti si fa attendere troppo spesso e volentieri.

In sede di conferenza stampa si è dichiarato che Netflix è entrato in gioco nell’ultima fase di produzione, a riprese ormai concluse. È quindi una coincidenza fortunata che l’occhio registico sia alquanto televisivo: indugia spesso in primi piani, mezzi busti, per una visione sempre nitida dell’azione ma talvolta, forse, un pizzico troppo claustrofobica.

La questione, comunque, non pesa sul giudizio di un film che si lascia guardare e, durante le accelerazioni, intriga. Resta la sensazione, però, che con un attore e un protagonista di sicure ambizioni, si sarebbe potuto osare ancora di più, invece di sparare a salve.