Gioco a due, incontro/scontro tra titani. Un intrigo british dal sapore classico, che guarda a Hitchcock e ai romanzi di Patricia Highsmith. Ian Mckellen sembra quasi un Mr. Ripley avanti con gli anni, un uomo dai molti segreti che si comporta come un agente immerso nella capitale inglese. Forse è davvero lui la spia che venne dal freddo, forse è un vedovo alla ricerca di un po’ di affetto, forse è un’evoluzione di Monsieur Verdoux.

Nel film corteggia la ricca Helen Mirren, e intanto gestisce i suoi loschi affari. Ha una personalità piena di sfaccettature, quieta all’apparenza, ma ispida nel profondo. Anche Mirren non scherza, pronta a ribattere colpo su colpo, in una guerra di silenzi, di ombre. Il regista Bill Condon si diverte a coccolare la sua coppia di fuoriclasse. Li trasforma in egual misura nel diavolo e nell’acquasanta, sa come far brillare una coppia che ha fatto storia. Li rende complementari, almeno in apparenza. L’aggressività di McKellen, la tenerezza di Mirren, i due si aiutano con i reciproci acciacchi, si sostengono a vicenda, e devono proteggersi da nipoti invadenti e da brutti ceffi.

 

Forse le ambiguità de L’inganno perfetto si potrebbero riassumere nella sequenza dell’inseguimento in metropolitana, che si alterna a uno shopping pomeridiano. Senza dimenticare l’ora del tè. Condon continua a sognare passioni amorose impossibili, dove lo spirito romantico si fonde con i canoni del giallo. Cineasta poliedrico, capace di saltare dalla grande produzione al piccolo budget: mette in scena i giovani vampiri di Twilight (entrambi i Breaking Dawn), e fa volteggiare Emma Watson ne La bella e la bestia. Però i suoi film migliori sono i primi, quando erano i lati oscuri della realtà a diventare protagonisti (I delitti della palude, ma anche l’inaspettato e riuscito Demoni e dei, prima collaborazione con McKellen).

L’inganno perfetto è un ritorno origini, a quando Condon non era ancora completamente rapito dalle necessità di mercato. Qui si interroga sulla memoria, sulle condanne, sui rimorsi. Gira con esperienza, sa sempre dove mettere la macchina da presa. E la coppia di divi non fa rimpiangere i tempi in cui condividevano il palcoscenico per The Dance of Death di August Strindberg, ormai più di un decennio fa.

Oggi per la prima volta conquistano insieme lo schermo, con il talento e la sicurezza dei grandi. Difficile scegliere per chi parteggiare, decidere dove finisce la realtà e inizia la finzione. Un brivido moderno, dove l’identità dei popoli sorge dalle tragedie del Novecento. Una vicenda che vive dell’acume dei suoi interpreti, e convince al Torino Film Festival. Tratto dal romanzo di Nicolas Searle The Good Liar.