Ci sono film che fanno un cattivo servizio alle buone cause, in primis la causa Cinema. Per intenderci, un titolo “umanitario” quale The Last Face di Sean Penn, largamente spernacchiato sulla Croisette nel 2016. L’equivalente - anzi, è peggio – a Cannes 71 è Les filles du soleil, diretto da Eva Husson e dedicato alla causa delle donne, segnatamente le guerrigliere curde, ovvero il battaglione delle figlie del sole.

Corredato dal tapis rouge del Time’s Up, con 82 tra registe e attrici capitanate da Agnes Varda e Cate Blanchett a fare la scalinata della parità, al contrario, fa un pessimo servizio: retorico, falso, imbelle e cosmetico, rappresenta a metà festival, e crediamo pure alla fine, il punto deteriore del Concorso, da cui peraltro, mala tempora currunt, potrebbe uscire con un premio.

La Husson fa riferimento all’avanzata dell’Isis nel territorio degli yazidi, Iraq settentrionale, il 3 agosto 2014: uomini massacrati, donne e bambini, 7mila in poche ore, presi in prigionia, le prime destinate alla schiavitù sessuale, i secondi a scuola di jihad già a tre anni. Tra YPG e peshmerga, la controffensiva è anche di genere femminile: le ragazze del sole, ex prigioniere yazide con il grido di battaglia “loro ci stuprano, noi li uccidiamo”.

Il correlato cinematografico è affidato a Bahar, la comandante di queste ragazze, che si appresta a liberare la sua cittadina natale, dove il figlio potrebbe essere recluso: a interpretarla è l’iraniana Golshifteh Farahani, che fosse brava un terzo di quanto è bella sarebbe la nuova Garbo, e invece no. A darle man forte, non sotto il profilo estetico bensì per l'inanità recitativa, è Emmanuelle Bercot, cui si deve la reporter francese Mathilde, occhio piratescamente bendato, moleskine d’ordinanza e, pure lei, vita ferita.

Detto che la sceneggiatura imbarca banalità edificanti a piene mani, con dialoghi a voltaggio femminista da penna rossa ed elaborazione geopolitica nulla, detto che la regia ha una tensione estetizzante da discount audiovisivo, Les filles du soleil è il precipitato peggiore dello Zeitgeist #metoo: parole quali Donne, Vita, Libertà al vento, immagini costipate, retorica colpevole, cinema sconosciuto.

Si potrebbe osservare che nemmeno in Die Hard si sparava ambidestro – vero, Golshifteh? – e che, nell’assalto finale, una grata per ripararsi dal fuoco nemico non sembra essere la soluzione più acconcia, ma sarebbe sparare sulla Croce Rossa. Appunto.