Charley ha 15 anni, e non ha affatto vita facile: la madre l’ha abbandonato ben presto, il padre è gigione, amorevole ma anche sventato e inaffidabile. E nemmeno sul versante economico se la passano troppo bene, passando di città in città alla ricerca, infruttuosa, di qualche miglioramento.

Eppure, Charlie (Charlie Plummer, rising star, se lo merita) non si perde d’animo, si dà da fare, da bravo ragazzo che è: trova impiego come stalliere e trova sincero affetto, nonostante le avvertenze contrarie del boss (Steve Buscemi) e del fantino (Chloe Sevigny), per Pete, che se non è un ronzino poco ci manca. Vecchietto, perde più di quanto vinca, e rischia di finire in Messico. Ma per Charlie i guai non sono finiti: il padre viene aggredito, l’America è profonda, buia e (in) solitaria. Il miraggio è Laramie, in Wyoming, ce la farà Charlie?

Terzo lungometraggio per l’inglese 44enne Andrew Haigh, Charlie Thompson è stato presentato in Concorso a Venezia 74.

E’ inferiore per presa emotiva, impatto poetico, respiro stilistico ai magnifici suoi precedenti, Weekend e 45 anni, ma conferma la qualità di Haigh, seppure apparentemente almeno in sordina: il dolore è meccanico, il destino ineluttabile, il tragitto di Charlie ne risente un po’, sebbene direzione d’attori, attori stessi e misura drammaturgica non si discutano.

Sulle orme di Charlie è un’America convalescente o, forse, terminale: reduci annullati, nonni volgari, senzatetto violenti, no future pervasivo. Ma c’è un ragazzo già uomo, un cavallo già vecchio e un fantasma da inverare: vi ricordate L’uomo di Laramie di Anthony Mann?