Immagini e parole come il titolo di lavorazione alternativo di Le livre d’images (il libro delle immagini) il nuovo film di Jean-Luc Godard che una volta avremmo chiamato crito-film, ovvero operazioni di critica cinematografica e non solo fatte con il cinema, sul cinema. E in questo caso il cinema serve a pensare e far pensare.

Godard sceglie 5 temi e dedica loro 5 capitoli (5, come le dita della mano che apre e chiude il film) e li svolge attraverso la storia delle immagini audio-visive in movimento, quindi partendo dal muto e arrivando alla tv e ai reportage di giornalismo partecipativo fatti con gli smartphone, su cui sovrapporre le sue parole, dette da lui e da altre voci oppure scritte sullo schermo. Un’operazione saggistica come il cinema digitale del Godard degli ultimi 20 anni con l’obiettivo di mostrare la vitalità dell’immagine in un momento storico in cui la sovrappopolazione della stessa sembrerebbe decretarne la fine.

Invece Godard usa la stessa immagine proprio come un germe, non come un dato, ma come il frutto di un processo sempre variabile e sindacabile, come un’operazione a cui cambiare sempre i fattori: il colore, il formato, la grana, il supporto, il suono, la musica. Lavorare sul frammento come una materia sensibile, degradarlo per mostrarne la vitalità e quindi la mortalità: dopo aver dato l’Addio al linguaggio nel suo film precedente, Godard torna alla lingua, ovvero agli elementi minimi di quel linguaggio per sondarne l’attualità, per cercare di capire come possano rapportarsi all’oggi, a temi come il potere e la violenza, la guerra e l’ingiustizia, come possano e se possano raccontarli e rappresentarli: più che il senso delle immagini, Godard cerca il loro spirito, le loro forme, il loro valore estrinseco. E nonostante si atteggi a cinico pessimista (ma come possiamo prendere sul serio le sue prediche se nel film attacca la “sacralizzazione del testo”?), la loro urgenza, il loro posto nel mondo.

È un “gioco” intellettuale dal quale è facile essere respinti, che non cerca alcun tipo di linearità ed equilibrio, ma che - per chi sta a questo gioco e proprio per questo inventivo e incessante lavorio sulla materia del cinema e sul suo rapporto con mondo e uomo - ha anche un fascino ludico che diventa riflessione, una capacità di coinvolgimento ipnotico che consente di pensare costantemente prima e dopo la visione. Cosa che ogni immagine fa, anche a sua insaputa.