Dal romanzo bestseller di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017, al film – il terzo dopo Pulce non c’è (2012) e Figli (2020, sceneggiatura di Mattia Torre), di Giuseppe Bonito: L’Arminuta è l’unico titolo italiano nella Selezione Ufficiale della XVI Festa di Roma.

Sceneggiatura della stessa Di Pietrantonio con Monica Zapelli, il cast è felice: Sofia Fiore è L’Arminuta, Carlotta De Leonardis Adriana, Vanessa Scalera la Madre, Fabrizio Ferracane il Padre, Elena Lietti Adalgisa.

Con loro torniamo all’estate del 1975, allorché una ragazzina di tredici anni viene restituita alla famiglia cui non sapeva di appartenere: non le viene concesso nemmeno il nome, per tutti è l’Arminuta, ovvero in dialetto abruzzese la “ritornata”.

Il passaggio è traumatico: dalla borghesia al proletariato, dalla modernità all’arcaicità, dal mare all’entroterra, dall’essere figlia unica ad avere altri cinque tra fratelli e sorelle, la ragazzina viene catapultata nell’ignoto, costretta ad abbandonare la vita precedente per altri legami, orizzonti e destini.

Non sarà il suo un supino adeguarsi, complice l’intelligenza (più dell’educazione), la determinazione e una naturale empatia saprà rendere prossimo l’estraneo, vicino lo sconosciuto.

Bonito assiste il romanzo di (ri)formazione con tatto, senza strafare nella forma né rimaneggiare la sostanza: il coming of age è fedele al romanzo, pudico nell’ambizione, medi(an)o nello stile, complice una macchina da presa che sta, e non solo fattivamente, all’altezza della protagonista. Script e regia non lavorano eccessivamente sulla contrapposizione, ma insinuano e perseguono la conciliazione degli opposti: l’Arminuta vuole, richiama un’aurea mediocritas, le convergenze parallele tra il passato e il futuro, l’agiatezza e la miseria, e viceversa.

Ogni cosa è illuminata, a partire dalla fotografia di Alfredo Betrò, con moderazione semantica, senza contrasti chiaroscurali, un passo prima del diorama, due dopo la mera illustrazione: l’aggetto è per i personaggi, gli attori tutti all’altezza, con nota di merito per una profonda, tragica Vanessa Scalera, il precipitato di un’umanità dolente, coatta, ma non doma né prostrata.

La ragazzina senza nome ritorna: da e a chi, dove e perché sta a noi.