È un perfetto esempio di film in cui autobiografia e finzione si sovrappongono, L'Armée du salut. L'opera prima dello scrittore Abdellah Taïa si nutre infatti delle esperienze dirette del regista, coraggiosamente dichiaratosi gay, cresciuto all'interno della chiusa e oppressiva società marocchina. L'alter ego dell'autore è un giovane cosciente della propria sessualità. Che vorrebbe vivere apertamente pur sapendo che nessuno, a cominciare dalla famiglia, approverebbe mai le sue scelte. Comincia così per lui una peregrinazione fisica e mentale in cerca di se stesso e del proprio posto nel mondo. Costruito in quattro atti, che corrispondono a diversi momenti della vita del protagonista, L'Armée du salut dal punto di vista narrativo avanza libero non preoccupandosi di seguire per forza un'evoluzione logica delle situazioni. Taïa porta al cinema il procedere tipico della scrittura letteraria, pur restando ancorato a una concezione assolutamente cinematografica. La libertà è tutta nel procedere per illuminazioni su momenti significativi della vita del protagonista, mentre stilisticamente le inquadrature mostrano un'attenzione quasi maniacale alla loro costruzione. Taïa dimostra insomma di avere uno sguardo, non soltanto qualcosa da raccontare. E il suo non è solo un film necessario, ma stilisticamente compiuto nonostante gli inevitabili limiti propri delle opere prime.