Amour fou/Amour flou. Una lettera (una “l”) per cambiare di significato. L’amore passionale che diventa “sfocato”, il sentimento che si spegne, il cinema per esorcizzare la realtà. Lui: Philippe Reboot, lei: Romane Bohringer. Nella vita di tutti i giorni stanno insieme, si sono conosciuti sul set della serie televisiva Nos enfants chéris, e hanno una figlia di nome Rose, anche lei presente nel film. Qui sono al loro esordio dietro la macchina da presa.

In L’Amour flou mantengono i loro nomi, creano un punto d’incontro tra documentario e finzione. Raccontano di un divorzio non comune. Restano in buoni rapporti, e non vogliono scioccare i bambini. Così decidono di trasferirsi in una casa molto particolare: due appartamenti divisi, che comunicano solo tramite la stanza dei pargoli.

Ognuno ha la sua libertà e i piccoli possono ancora godere della compagnia dei loro genitori. Idee controcorrente, in una commedia francese dall’anima sofisticata, ma dallo spirito leggero. Nell’epoca della decostruzione, dell’allontanamento, si sceglie di venirsi incontro, di trasformare il matrimonio in amicizia, senza dar vita a situazioni alla Kramer contro Kramer o in stile La guerra dei Roses.

Separati ma non troppo, per dirla alla Dominique Farrugia, con quella capacità di scrittura che caratterizza i film di Olivier Assayas. Così L’Amour flou prende alcune caratteristiche de Il gioco delle coppie, con i disinnamorati che si “scambiano”, cercano altri partner, ma senza mai essere in grado di dimenticarsi l’un l’altro.

Lui fa l’intellettuale, ma la notte si immagina novello Hugh Heffner tra le conigliette di Playboy. Insegue le ragazzine per fare il giovane, si improvvisa anche skater. Invece lei vuole ancora sentirsi attraente, e si lancia anche in nuove esperienze. Si nascondono nelle loro camere insonorizzate per poi non riuscire a star lontani. Gelosie celate, rapporti in evoluzione. Cambiamenti di una famiglia 2.0 che cerca soluzioni al limite per sopravvivere. Sorrisi intelligenti che sollevano nell’arsura estiva.