La crisi economica distrugge famiglie, riduce la gente sul lastrico e scatena l’estro truffaldino di chi non ha più niente da perdere. Le fabbriche chiudono, gli operai non hanno lavoro e i proprietari delle aziende sono stritolati dalle tasse. È la storia di Antoine, un imprenditore sull’orlo del fallimento, che tra i tanti problemi deve anche fronteggiare un suocero molto agguerrito. In gioco ci sono l’affidamento del figlio, un divorzio e le bollette da pagare.

Nasce così l’idea di mettere in piedi una mega frode, e le vittime sono la Francia e l’Unione Europea. La truffa del secolo si ispira allo scandalo della Carbon Connection del 2008, in cui un gruppo di intelligentoni speculò sui diritti delle emissioni di CO2, giocando su un problema serio come l’inquinamento. Ma al regista Olivier Marchal non interessa raccontare i dettagli economici, come sempre si concentra sull’aspetto malato della società, rappresentando una Parigi buia e criminale.

 

L’umanità è morta sotto i colpi del guadagno facile, e non c’è più riguardo per nessuno. I protagonisti di Marchal non conoscono principi morali, sono tutti colpevoli, e il cinismo diventa l’unico padrone al quale obbedire. Il sole non sorge mai, e la vicenda è un ibrido tra Quei bravi ragazzi e Il lupo di Wall Street, senza ovviamente avere il tocco di Scorsese. E non sembra esserci niente di appassionante in un heist movie come tanti, realizzato con mestiere, ma senza scossoni.

Le prime sequenze fanno il verso a Carlito’s Way di Brian De Palma, con un monologo fatalista sulla scia di Al Pacino. Antoine crolla a terra crivellato di colpi, e ripensa alla sua esistenza, alla sfortuna e alla ricchezza. Sembra di rivedere Carlito/Pacino sulla barella mentre viene portato in ospedale: “Qualcuno mi sta tirando verso il basso. Lo sento anche se non lo vedo, però non ho paura. State tranquilli, perché ho un cuore che non molla mai e non sono pronto a fare fagotto”. Poi un flashback, e il resto lo conosciamo.

La truffa del secolo segue il classico schema del polar, senza regalare colpi di scena e puntando tutto sull’idea che il peggio debba ancora venire. Il disastro e la tragedia incombono: l’unica soluzione è sballarsi in qualche night, prima che il mafioso di turno scateni il solito finimondo.

Olivier Marchal è un ex poliziotto passato dietro la macchina da presa, e non perde mai l’occasione per lanciare un atto d’accusa contro le istituzioni corrotte. Ma gli ottimi risultati dei suoi film precedenti (36 Quai des Orfèvres, la fragilità dell’antieroe col distintivo de L’ultima missione) sono solo un ricordo. Qui siamo più vicini alle forzature e alla spettacolarità gratuita di un qualunque gangster movie d’oltralpe, che a lungo andare lascia il tempo che trova.