Apparire. Essere qualcuno. Essere di qualcuno. Divenire. Desiderare di sparire. La scomparsa di mia madre, esordio di Beniamino Barrese, è un documentario anomalo e affascinante, distribuito nelle sale da Reading Bloom e Rodaggio. Anomalo nel nostro panorama cinematografico (la prima assoluta del film è stata al Sundance Film Festival, unico titolo italiano selezionato) e affascinante perché del cinema del reale ne dischiude l’essenza. La madre del titolo è Benedetta Barzini, la donna che fu la prima top model italiana scelta da Vogue e da artisti della fotografia come Irving Penn (fratello del regista Arthur Penn) e Richard Avedon (celebri i suoi ritratti in bianco e nero di star hollywoodiane).

“Vivo in un mondo dove tutto viene delegato alla fotografia e non alla memoria. Mi interessa quello che non si vede e non quello che si vede”. Benedetta Barzini guarda, spesso, con disprezzo la macchina da presa. Non ama svelarsi, non ama l’occhio estraneo che rende tutto uniforme (“ci sono 100 milioni di foto dei tramonti - confida a un certo punto - francamente tutti uguali, però non sono uguali quando li vedi”), poi cede e si scopre perché è un racconto quello che il figlio vuole realizzare. Un racconto di una donna dirompente e sincera nelle sue lezioni e interrogazioni agli studenti universitari (cura corsi di “Storia dell’abito” e “Antropologia della Moda”), naturale nei suoi attacchi verbali al regista, che la filma in ogni istante, perfino nei dettagli intimi della sua quotidianità.

In un equilibrio tra purezza e immediatezza, tra controllo e messa in scena, La scomparsa di mia madre racconta quello che le immagini tentano di celare. Benedetta Barzini, incline alla fama prima e riluttante poi agli onori e alla bellezza come unico fine, non ha paura dell’imperfezione e degli anni che si sedimentano sul viso. E si mostra perché non le piacciono “le cose cementate”.

La scomparsa di mia madre
La scomparsa di mia madre
La scomparsa di mia madre
La scomparsa di mia madre

E cementato non è (anche se sarebbe stato un rischio produttivo) il film che compone, con la stessa precisione dei tasselli in un puzzle, la storia e il presente, la spontaneità e la ferocia contro la macchina da presa sempre accesa e sempre a centellinare ogni istante, filtrando le sue giornate (come l’incontro con la sua amica di una vita, l’ex top model e attrice Lauren Hutton). Eppure il film di Beniamino Barrese potrebbe essere, come annunciato dal possessivo del titolo, un film privato, un trasparente ritratto dell’incarnazione della bellezza, che con il trascorrere del tempo diventa più “carne”, più vita. Ma non lo è.

È un film sulla donna, che pensa e che si ribella alle chiusure e alle definizioni. Un film che sfiora quel pezzo di storia italiana sul femminismo e che si allarga sempre di più, scena dopo scena, al presente di ogni donna. Indaga la sostanza della femminilità e dischiude l’orizzonte sulla libertà, come valore e non come semplice rivendicazione, della donna spesso chiusa dagli sguardi altrui e dalla necessità o dipendenza del riconoscimento.