Avechot, paesino di montagna, due giorni prima di Natale: una sedicenne dai capelli rossi e con efelidi, Anna Lou, scompare. Il poliziotto Vogel (Toni Servillo) indaga, perpetuando il metodo che l’ha reso famoso: indiziati sbattuti in prima pagina, triangolo costante con i media, “moralità” discutibile. Ma chi è questo presunto colpevole, forse il professor Loris Martini (Alessio Boni), scarpe grosse e cervello fino?

Nel cast anche i poliziotti Michel Cescon e Lorenzo Richelmy, la telegiornalista Galatea Ranzi e lo psichiatra Jean Reno, è La ragazza nella nebbia, scritto e diretto da Donato Carrisi a partire dal suo omonimo bestseller internazionale. Vabbè, ma com’è?

Servillo è bravo, ma meno del solito, e sarà la nebbia, sarà la sospensione, sarà che dura 127 minuti interminabili la noia si fa spazio, prende campo, adiuvata da interpretazioni non uniformi, facilitata da soluzioni narrative cincischiate, da sequenze spesso addebitabili a una seconda, se non terza unità.

Poi, e bisogna capirsi, c’è ambiguità e ambiguità, ovvero una positiva, perché funzionale a procrastinare la detection, e una negativa, derivante da un’irresolutezza di fondo, un approfittarsi della sospensione dell’incredulità chiesta allo spettatore.

Spiace dirlo, ancor più perché basato su un libro, ma la sensazione principe è l’inconcludenza di trama e ordito, storia e racconto. Che la nebbia, insomma, non sia solo diegetica. E che il vorrei ma non posso sia il sottotitolo più adatto. E in quel vorrei c’è tanta roba buona, da Zodiac a, soprattutto, per tema, foggia e mood la serie antologica Red Riding (1974, 1980, 1983), tratta da David Peace. Sì, gli piacerebbe a Donato Carrisi...