Non c’è rimedio che tenga quando alla pigrizia dell’immaginazione si accompagna quella della scrittura. Si finisce con il rimettere mano a qualcosa di pre-esistente come nel caso de La partita, l’opera prima di Carnesecchi che estende gli orizzonti narrativi e drammaturgici dell’omonimo corto del 2016.

Come già accaduto con L’arbitro di Zucca, anch’esso ambientato nel polveroso, anarchico e infernale girone del calcio dilettantistico, lo sport più amato del mondo si fa crocevia di esistenze, vendette e illecite manovre sugli spalti, fuori e dentro il rettangolo di gioco.

I 90’ e l’intervallo di una finale scandiscono un susseguirsi di giri di lancette e di vite, nel mezzo dei quali si combattono “battaglie” per la sopravvivenza in una terra ostile.

Perché il calcio è una guerra e l’Italia una repubblica fondata sul pallone. Sullo sfondo una periferia romana brulicante di esseri che annaspano tra crisi economica, sotterfugi, violenze fisiche e verbali, il regista mette in scena i mali, le contraddizioni e i vizi della società odierna.

 

Il tutto attraverso un film corale che mescola la parabola sportiva con il dramedy e il crime, attraverso il ritmo incalzante e il realismo delle sequenze di gioco che fanno da contrappunto all’eccessiva dilatazione degli eventi extra match.