Dopo una carriera fatta di trasgressioni o di regole rivoluzionarie, deve avere un fascino particolare per un regista come Thomas Vinterberg - tra i firmatari del manifesto Dogma - girare un film che potrebbe aderire ai codici del kolossal storico in salsa europeo come Kursk ambisce a essere.

La storia vera che racconta - partendo dal libro di Robert Moore adattato da Robert Rodat - è quella del sommergibile K-141 Kursk e del terribile incidente, causato anche da negligenze e incuria da parte delle autorità: Vinterberg la racconta tanto dentro il sommergibile quanto fuori, seguendo le vite delle famiglie dei marinai coinvolti, secondo i canoni puramente “hollywoodiani” del disaster movie.

Tutto concorre alla creazione di un blockbuster impegnato, drammatico e commovente ma anche teso e spettacolare: c’è la vicenda tragica e i suoi incredibili risvolti politici che portano all’indignazione, ci sono i personaggi esemplari e i loro legami affettivi, c’è la progressione del racconto, la sua scansione ben rodata e, nonostante il budget non proprio faraonico, le sequenze spettacolari e le scenografie complesse.

 

Se la creazione non va quasi mai a buon fine è perché manca un regista che sappia dare vera forza a questi elementi, che sappia muoversi dentro schemi e modalità classiche e convenzionali con vivacità, capace di dare vigore estetico. Un film bloccato, immobile, ostaggio della prudenza e della piattezza più che delle convenzioni del grande film popolare.