Il Joker che (non) ti aspetti. Quello che da stand-alone - il primo per il personaggio dei fumetti DC Comics - può permettersi il lusso di fare di testa propria, Todd Phillips alla regia, Scott Silver in scrittura, e trovare un altro mondo possibile, un altro modo probabile di dischiudere il sorriso, e Ridi pagliaccio. La madre gli diceva che "ha uno scopo: portare risate e gioia nel mondo" e Arthur Fleck ci crede, a modo e mondo suo. Il soggetto è "fuori tutto", come il cartello che piroetta fuori da un negozio e che gli verrà spaccato in faccia.

Disadattato, schizzato, bullizzato ed emarginati, Arthur non vive, sopravvive, sopra tutto a se stesso, ma anche la madre non scherza: teledipendente, querula, consunta. E non basta: pretende il padre di Arthur sia Thomas Wayne, il magnate di Gotham, e chissà se lo è davvero.

Lavora come clown, Arthur, con altri freaks per destino prima che professione: si esibisce, anche per i bambini, e forse portarsi appresso la pistola all'ospedale pediatrico non è il massimo. Licenziato, si butta nello spettacolo, agogna raggiungere il suo mito, Murray Franklin, un conduttore televisivo che gli accende un altro lume della sragione: the show must go on, e quello di Arthur battezzato per sfottò Joker si fa involontariamente catalizzatore dell'insofferrenza popolare, per una città invasa dai ratti, sovrappopolata dall'immondizia, sperequata tra chi, Wayne e sodali, ha tutto, e chi niente, Arthur, nemmeno la possibilità di continuare a essere curato.

La sanità mentale non abita qui, e Joker non farà prigionieri: l'umiliato e l'offeso è l'alfiere imprevisto e improbabile della riscossa popolare, della rivincita degli ultimi sui primi, della guerriglia e del saccheggio urbano, e le maschere di una nuova (V per) vendetta avranno i suoi tratti, la sua bocca ferita e gli occhi che piangono stupor mundi e horror vacui.

Non ci sarebbe Joker, film e personaggio, senza Joaquin Phoenix, che come Jack Nicholson e Heath Ledger (non Jared Leto) si fa trovare pronto al ruolo, di più, al voltaggio esistenziale del villain: prova totale e totalizzante, balla, ride, s'intorcina, dà e prende, aria, emozioni, precipizio e fatalità.

Un one freak show che passa per farmaci e non farmaci, paura e delirio senza colpo ferire e, per allucinazione e realtà, senza immagine cambiare, ed è un problema: alla regia Todd Phillips si porta più che dignitosamente, ma non ha mai la capacità di svoltare, di sparigliare, di sorprendere. Il film è soggiogato dal suo dittatoriale protagonista, spesso si fa trasportare anziché prenderlo in carico: ripete, si ripete, itera, trovando un percorso psicologico non pienamente espresso, un ancoraggio alla storia di Joker per come lo conosciamo - alla voce, perle... - non pienamente compreso.

Però, Phoenix può tutto o quasi, anche prendere il testimone da Robert De Niro (Murray Franklin) e farsi re per una notte, prendere il calco dal serial killer di fine Anni Settanta Killer Clown e farsi mostro con licenza di uccidere. I colori sono saturi, il dolore e la sopportazione pure: s'alza il vento bisogna tentar di sopravviversi.