“… pensieri vanno e vengono, la vita è così…”.

1989, Festival di Sanremo. Dopo sei anni di assenza forzata, Mia Martini torna sul palco dell’Ariston, in gara con Almeno tu nell’universo. È la grande rentrée di una tra le voci italiane più incredibili del secolo scorso, vergognosamente messa ai margini dall’industria e dal circo di nani e ballerine dei vari palinsesti televisivi con l’infamante diceria che portasse sfortuna.

Parte da lì Io sono Mia, il film di Riccardo Donna – nelle sale con un’uscita evento dal 14 al 16 gennaio (in circa 280 copie), poi su RaiUno a febbraio – incentrato sulla vita e sulla carriera di Domenica Rita Adriana Bertè, detta Mimì, in arte Mia Martini.

Sigaretta sempre accesa e piccolo chihuahua al seguito, la Martini accetta con riluttanza di farsi intervistare da una giornalista di Epoca (Lucia Mascino), che in realtà era a Sanremo per incontrare Ray Charles. Attraverso questo espediente inizia il racconto, a ritroso, che ci riporta agli inizi degli anni ’70.

È questo il decennio chiave, quello dell’incontro con il produttore Crocetta (Antonio Gerardi), già scopritore di Patty Pravo, che la vede esordire col nome d’arte (con il primo LP, Oltre la collina, 1971, lanciato dal singolo Padre davvero), poi la consacrazione negli anni subito successivi, soprattutto grazie a due singoli, Piccolo uomo (scritta da Dario Baldan Bembo e Bruno Lauzi) e Minuetto (scritta per lei da Franco Califano, qui interpretato in un breve e suggestivo cammeo da Edoardo Pesce), escalation che la portò nel 1974 ad essere considerata dalla critica europea la cantante dell’anno.

Anticonformista e libera, consapevole del proprio “caratteraccio”, Mimì giovanissima raggiunse Roma con la sorella Loredana (Dajana Roncione), che del film è consulente insieme all’altra sorella, Olivia. Qui strinsero da subito amicizia con Renato Zero (che non ha voluto essere nominato e nel film si chiama Toni, interpretato da Daniele Mariani). L’altro assente “pesante” del film è Ivano Fossati, grande amore (travagliato) della Martini nonché autore dell’intero LP Danza (1978) e, soprattutto, dell’immortale singolo E non finisce mica il cielo, inizialmente destinato a Mina, che invece poi la Martini portò in gara per la sua prima volta a Sanremo, nel 1982, dove vinse il Premio della Critica, istituito proprio in quell’occasione e oggi dedicato alla sua memoria.

Ed è fondamentalmente un atto dovuto alla memoria di Mimì anche questo film di Riccardo Donna, biopic che per forza di cose non può rispecchiare fedelmente nei nomi e nelle cose tutto ciò che è accaduto, che ogni tanto si concede qualche scena madre di troppo, ma che nonostante tutto si prefigge come obiettivo primario quello di riportare a galla l’incondizionato amore che legava la Martini alla musica.

Legame che emerge con forza grazie alla prova di Serena Rossi, cantattrice che dopo Ammore e malavita trova qui la sua affermazione definitiva: non semplice e banale imitazione, che sarebbe stato esercizio pruriginoso e improprio, ma reinterpretazione (calibrata anche sul delicato passaggio di inizio anni '80, dopo l'intervento chirurgico alle corde vocali che trasformò la voce della Martini, più roca e cavernosa) capace di rendere bagliori, sprazzi di un’artista unica e irripetibile. Che preferì “la reclusione all’umiliazione”, spegnendosi in solitudine, con le cuffie indosso, ascoltando musica, il 12 maggio 1995, a soli 47 anni.

“…Che non finisce mica il cielo

E se la verità

possa restare in questo cielo

Finché ce la farà”.