La morte rende gli uomini vulnerabili, dice il dottor Benedetti, perché si commuovono per la loro condizione di fantasmi: ogni atto compiuto potrebbe essere l’ultimo, ma non c’è volto sul punto di cancellarsi come il volto di un sogno. È una riflessione molto evocativa, probabilmente contorta ma anche no, e che comunque restituisce bene la cifra di Immortal, presentato al 20° Trieste Science+Fiction Festival.

Oggetto bizzarro e curioso, è il quarto lungometraggio di finzione dell’argentino Fernando Spiner (attivissimo in televisione e nel documentario), che debuttò al cinema nel 1998 con La sonámbula, all’epoca un piccolo caso internazionale. Diplomato regista al Centro Sperimentale di Roma, Spiner sembra restituire le suggestioni di quella giovinezza italiana e le unisce alla tradizionale attitudine del suo paese all’esplorazione del fantastico.

C’è una dimensione artigianale in Immortal, infatti, che dialoga non solo con il cinema di genere del passato ma anche con alcuni episodi fantascientifici della produzione italiana. Pensiamo a L’invenzione di Morel di Emidio Greco, tratto dal romanzo dell’argentino Adolfo Bioy-Casares, pur senza l’eleganza stilistica e l’intensità filosofica: non è difficile riconoscere tracce di quella meditazione sull’immortalità e sull’illusione contenuta nello statuto delle immagini (anche se qui il voltaggio è un po’ più sbilanciato).

È la storia – sotto il segno del Libro dei Ching (citato prima dei titoli, a sottolineare la componente quasi divinatoria) – di Ana, che torna a Buenos Aires dall’Italia (il riferimento è una spia autobiografica) per risolvere questioni legate all’eredità del padre appena deceduto. Entra allora in contatto con il dottor Benedetti, migliore amico del compianto, che cerca di convincerla di aver scoperto la porta verso una nuova dimensione nella quale potrà ricongiungersi con il padre. È un imbroglio?

In un alternarsi tra apparizioni allucinate e distorsioni visive, nel trionfo ipnotico di un giallo che manipola l’immagine per rimarcarne la sospensione in un altrove incomprensibile, Immortal si modula tra stupori improvvisi e inquietudine panica, flirtando con il paranormale e l’enigmatico: non tutto funziona, ma c’è una libertà che lo rende piuttosto simpatico, nonostante qualche grossolanità estetica.