“I didn’t know I could lie like that”. Quando Jean (Rachel Brosnahan, The Marvelous Mrs. Maisel) realizza di poter mentire, in verità abbiamo già capito che può fare molto altro, che può essere molto altro: travestito da crime drama anni Settanta, I’m Your Woman è un romanzo di formazione, ovvero formazione dell’identità femminile o, come si dice oggi, empowerment. In breve, la donna del boss scoprirà di essere meno, ovvero più: donna, donna di sé, per sé.

Alla regia c’è Julia Hart (Fast Color, Miss Stevens), che sceneggia a quattro mani col marito Jordan Horowitz, e Jean viene presentata come spalla, anzi, quasi biblicamente costola del marito Eddie (Bill Heck), criminale non meglio precisato: sorta di trophy wife più che housewife suburbana, dove la metti sta, a tal punto da ricevere in dono un neonato senza farsi troppe domande al riguardo. Ma quando Eddie tira il bidone ai suoi partner d’affari, Jean deve darsi alla fuga col bambino, supportato da un vecchio amico del marito, Cal (Arinzé Kene), e quindi dalla di lui moglie Teri (Marsha Stephanie Blake, cazzuta): che ne sarà di lei, e che ne sarà di noi, destinati ad abbassare le aspettative di genere, pur incorniciato con un certo stile, per abbracciare la nascita di Atena dalla Venere che era.

Ben fotografato da Bryce Fortner con rispetto dell’epoca ma connotazione libera, preciso nelle scenografie e troppo prodigo nei costumi – Jean ha più vestiti che inquadrature, diamine! – I’m Your Woman gioca cinematograficamente per veicolare un messaggio sociale, e lo fa con una certa bravura, senza asservire la forma alla sostanza, viceversa, usando le (false) premesse e promesse del crime – maschile se non sessista - d’epoca per farci ragionare sul qui e ora della condizione femminile. E, in un cast uniformemente all’altezza, Rachel Brosnahan è la sua profetessa, capace di una metamorfosi sottile quanto massiva: Gone Baby Gone, ma qualcosa, anzi, qualcuna rimane. Rischia la sottovalutazione, ma non se la merita.