Buone notizie per il nostro cinema. Anzi, una buona notizia da e per l’esordiente Matteo Fresi: unico tricolore in Concorso al 39° Torino Film Festival, Il muto di Gallura è uno dei migliori film italiani dell’anno.

La storia, vera e filtrata dal romanzo omonimo e quasi coevo di Enrico Costa, ci porta nella Gallura di metà Ottocento e ruota intorno alla faida che impegnò le famiglie Vasa e Mamia, concentrandosi su Bastiano Tansu (Andrea Arcangeli), sordomuto dalla nascita, maltrattato ed emarginato nell’infanzia, finché la mira prodigiosa non lo renderà utile alla vendetta. Il legame di sangue e l’assassinio del fratello Michele lo legano al capo fazione Pietro Vasa, che ne farà l’assassino più temuto e letale di un regolamento di conti da settanta vittime: né lo Stato sabaudo e la Chiesa sapranno contrastarlo, né lo affrancherà la pace di Aggius, Bastiano che ama corrisposto una pastorella sconterà il marchio di figlio del demonio applicatogli ancora bambino, fino alle estreme conseguenze.

Produzione Fandango con Rai Cinema e il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission, nel cast Marco Bullitta, Giovanni Carroni, Syama Rayner, Aldo Ottobrino, Fulvio Accogli, Nicola Pannelli, Andrea Carroni, Fiorenzo Mattu, sceneggiatura del regista e Carlo Orlando dal romanzo già ricordato, il film esibisce una felice commistione di genere, aderenza storica, appiglio etnografico, trovano per di più una singolare risonanza tra la vicenda e l’ambientazione, il tutto a condensarsi, a precipitare in Bastiano, inabile a comunicare verbalmente, disperatamente capace di sentire, nella ritorsione quanto nell’amore.

Un disadattato, un diverso, persino, un freak con un piede nella tragedia classica e l’altro nell’emarginazione senza tempo, in bilico tra leggenda e fumetto, senza tradire la denominazione d’origine controllata, affidata ai luoghi - grande fotografia di Gherardo Gossi - e ancor più alla lingua, che Fresi sa eleggere a linguaggio iniziatico, a rito di passaggio, complici le canzoni.

Arcangeli lavora per sottrazione, anche nello sguardo che è forzatamente il mezzo privilegiato, mentre il coro non perde mai di aggetto psicologico, né la carneficina trascura nomi e cognomi. La via è mezzana, mai mediocre, Fresi sa darsi un’autorialità senza negarsi al pubblico, un colpo agli effetti visivi molti altri alla tenuta drammaturgica, al voltaggio antropologico con licenza mitica, all’efferatezza dal cuore d’oro o quantomeno lacerato.

La Sardegna come terra di frontiera, Bastiano come l’uomo non senza nome, ma senza voce, i fucili come Winchester, la Natura anch’essa contendente, una guerra fratricida fino al sangue del proprio sangue, la Corsica chimerica, un’unica certezza: Il muto di Gallura è un’ottima opera prima, prossimamente in sala con Fandango.