È una sorpresa molto bella il primo lungometraggio di Jeremy Clapin, per la storia che racconta e soprattutto per il modo in cui la racconta, attraverso un’animazione realistica e poetica allo stesso tempo, che si fa dimenticare nel fluire del racconto e riemerge nelle aperture surreali.

I Lost My Body è prima di tutto la storia di una mano, tenuta conservata in un frigo che fugge dal suo sepolcro e s’incammina lungo la città per tornare “a casa”; intanto ricorda la sua storia e quella del corpo che la possedeva, la storia del giovane Naoufel, della sua infanzia dolorosa, dell’adolescenza difficile e dell’amore per Gabrielle. Il regista, assieme a Guillaume Laurent, scrive un racconto toccante, una storia di formazione e riscatto che passa attraverso i legami più istintivi, a partire da quelli con l’infanzia.

Perché il rapporto che si instaura tra una mano con il corpo di appartenenza, come fosse un animale che torna al nido è ammantato da Clapin da una vena di malinconia in cui il passato torna, in cui gli elementi dell’infanzia diventano i pilastri su cui costruire un personaggio e un intreccio, arrivando al sentimento e all’emozione attraverso le sensazioni fisiche (e sensoriali, come nella bellissima sequenza del dialogo attraverso il citofono).

Parte come un racconto crudo, duro ed efficace dalle venature chiaramente orrifiche che poi prende una direzione più poetiche, con efficaci trovate liriche (la mano che cerca di raggiungere casa volando su un ombrello), un andamento poetico efficace ed emozionante nonostante la musica un po’ troppo enfatica. E dal corpo, dall’intimità istintiva, Clapin sa andare al cuore, a tracciare i sentimenti con un giusto sottotono finale che ne suggella al massimo il discorso e fa emergere la tenerezza sopita durante tutto il film, anche grazie a un prezioso e suggestivo lavoro di disegni e movimenti animati.