Non è la prima volta che un film giunge agli schermi preceduto da sentore di scandalo e campanelli di allarme.
Il clamore che ha fatto da battistrada a The Warriors (titolo originale de I guerrieri della notte, ndr) non proveniva però dalle solite anticipazioni su una scena osé o su una vertenza legale. Nasceva dalle cronache di risse sanguinose alimentate dai fotogrammi del film - una storia di gang di giovani teppisti in lotta tra loro nella notte newyorkese - e dalle notizie di drastici divieti di importazione in paesi generalmente permissivi. Negli Stati Uniti, si è letto, il contagio è esploso addirittura durante le proiezioni, trasformando certi locali in campi di battaglia. In Svezia e in Gran Bretagna, per contro, i censori hanno detto risolutamente no perché, appunto, le scene potrebbero suggestionare gli spettatori spingendoli a incrementare ulteriormente la brutalità dilagante.

Ce n'era abbastanza per aspettarsi che anche qui da noi il film terrorizzasse qualcuno e incontrasse difficoltà a inserirsi in circuito. Invece, non solo è uscito - sia pure con il divieto ai minori di 18 anni - ma ha fatto il giro delle prime visioni senza scatenare follie di distruzione in sala né battaglie cruente fuori. Tutt'al più ha dato occasione a gruppi di giovanotti di borgata di intervenire pittorescamente bardati come gli eroi dei film, capelli rasati, giacconi di pelle, ciondoli strani. Dobbiamo pensare che la reale violenza quotidiana nella quale viviamo immersi ha toccato livelli tali da non subire, ormai, nessuna influenza da quella immaginata in un film? Oppure che censori e pubblico hanno visto The Warriors sotto la "corretta" angolazione d'uno spettacolo che nella rappresentazione, iperrealistica al punto di risultare astratta, di un rituale, e nella sua scansione coreografica e dinamica, esaurisce sullo schermo ogni possibile tensione e spinta emozionale?

Una scena de I guerrieri de la notte @webphoto
Una scena de I guerrieri de la notte @webphoto

Una scena de I guerrieri de la notte @webphoto

Rispondere non è facile, sia perché certi effetti di assimilazione si misurano a distanza (e dunque per escludere ogni influenza, magari indiretta, su certe fasce di pubblico bisognerebbe aspettare il prosieguo delle programmazioni), e sia perché, onestamente, sarebbe difficile sostenere che tutti gli spettatori siano così generalmente scaltriti o acuti o sensibili da leggere il film come una riflessione sulla violenza giovanile contemporanea. Riflessione puramente cinematografica, lievitata su moduli espressivi e modelli narrativi propri alla tradizione americana, dai film sulle contese tra gang cittadine a quelli sui selvaggi motorizzati. Un'operazione lucida e personale, insomma, condotta sul genere fantastico, e non come tributo, o come sfida, a presupposti sociali o moralistici.

Si può essere convinti di questa matrice - e la struttura e il ritmo a tratti ballettistici del film sembrano confortarla - e tuttavia è arduo escludere a priori che qualche guasto, nei tessuti più deboli, il film lo produca. The Warriors ripropone dunque i termini d 'un dibattito già scaturito, tanto per fare un esempio, ai tempi di Arancia meccanica, anche se nel film di Kubrick la materia narrativa, prima ancora della cifra stilistica, percorreva poi strade diverse da quelle scelte da Walter Hill. I lividi, caricaturali, allucinati adolescenti che nel film di Hill si contendono la città di New York sono animati da uno spirito di corpo e da un senso in qualche modo cavalleresco da sembrare creature d'un altro pianeta. Non soltanto vestono, parlano, agiscono secondo codici particolari, ma attraversano la realtà che li circonda, e sulla quale pure vogliono stabilire il proprio dominio, senza avere quasi rapporto con essa, salvo a tratti doversi misurare con la polizia). Sembrano, in definitiva, alieni che stiano combattendo, suddivisi in branchi, una loro guerra privata. Il racconto concentrato in una notte, segue le peripezie d'un gruppetto di questi guerrieri, rappresentanti d'una banda che si fregia del titolo di Warriors (guerrieri, appunto). Essi raggiungono il luogo d'un raduno di tutte le gang, in vista dell'assalto alla metropoli. li leader del raduno mentre sta profetizzando l'unione delle forze, viene ucciso, e il colpevole, vistosi scoperto, incolpa uno degli Warriors. La moltitudine si scatena: una guerra dell'assurdo, in cui ogni banda si riconosce nel suo quartiere e nei suoi travestimenti. Gli Warriors, braccati, fuggono a piedi, sulla metropolitana, per vie e giardini, in una disperata corsa dal Bronx a Coney Island, tra pestaggi, incendi, posti di blocco, tam-tam di radio private. All'alba, in riva al mare, l'errore verrà riconosciuto: gli Warriors superstiti saranno riabilitati e i veri colpevoli puniti.

La locandina italiana del film @webphoto
La locandina italiana del film @webphoto

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Se qua e là la truculenza e la tensione cedono a qualche goffaggine sentimentale (e addirittura dolciastro, nel finale) è naturalmente nel lungo, convulso , squassante inseguimento che il film gioca le carte più spettacolari grazie non soltanto alla regia di Hill (che, non dimentichiamo, ha già firmato due aspre metafore ambientate in paesaggi urbani alienati, L'eroe della strada e Driver, oltre ad aver accumulato in precedenza una cospicua attività di sceneggiatore), ma anche all’apporto di Laszlo, che ha fotografato una New York spettrale e angosciante come un'anticamera dell'inferno e ha sfruttato abilmente i connotati e il trucco d 'un campionario umano ancora più inquietante.