Potrebbe essere quasi un film Disney e invece non lo è, ma è un’incredibile storia vera dai toni fiabeschi. La storia è quella di Mario Capecchi, premio Nobel per la medicina nel 2007.

Diretto da Roberto Faenza, co-sceneggiato insieme a David Gleeson, prodotto da Elda Ferri (moglie di Faenza) e Milena Canonero, che si è occupata anche dei costumi, Hill of Vision è un viaggio emblematico di riscatto e di speranza che parte dai tempi bui della seconda guerra mondiale quando Mario (Lorenzo Ciamei da piccolo e poi Jake Donald-Crookes) era semplicemente un bambino.

Sua madre americana Lucy Ramberg (Laura Haddock) viene arrestata dai nazifascisti e deportata dall’Alto Adige in un campo di concentramento tedesco. Da quel momento Mario, all’età di quattro anni, si ritrova a vagabondare e finisce in orfanotrofio.

Miracolosamente, nel 1946, Lucy, sopravvissuta alla prigionia, lo trova e lo porta con sé in America. Lì vengono accolti da suo fratello, Edward Ramberg, e dalla moglie Sarah, che li portano a vivere con loro in Pennsylvania presso la comunità Quacchera di Bryn Gweled.

La nuova vita però non è semplice. Difficile per un ragazzo ribelle adattarsi alle regole dei Quaccheri, la cui comunità si fonda sul rispetto e sulla collaborazione, così come non è semplice integrarsi in una classe per un “mangiaspaghetti” (questo il nomignolo affibbiatogli dai suoi compagni) che non sa l’inglese.

Nonostante tutto Mario ce la farà perché, come gli dice il prete dell’orfanotrofio: “Tutti possiamo salvarci”. Ecco, Faenza ci restituisce questa storia di grande speranza accompagnato da un cast internazionale con Laura Haddock, Edward Holcroft, Elisa Lasowski, Rosa Diletta Rossi e la partecipazione di Francesco Montanari.

Un cast composto anche da tanti bambini, oltre il piccolo Mario, che il regista nuovamente dimostra (come aveva già fatto soprattutto con Jona che visse nella balena) di saper dirigere egregiamente (d’altronde lui stesso confessa: “A differenza di De Sica penso che la cosa più semplice sia lavorare con i ragazzi”).

Ne I Viceré c’era un padre despota, qui c’è un altro bambino che parte da condizioni tragicamente avverse, e ancora una volta Faenza, da sempre affascinato dalla psicologia infantile, ci regala una bella rappresentazione del mondo dell’infanzia.

Una rappresentazione forse po’ troppo fiabesca, ma è pur vero che la vera storia di Mario Capecchi sembra davvero una favola Disney che finisce bene e che dà speranza alle generazioni future.