Un uomo israeliano, Naftali, ingaggia un manovale palestinese per aiutarlo in alcuni lavori domestici. Non si tratta della persona a cui si rivolge solitamente, ma di un suo giovane cugino, Fahed, che lavora nella medesima ditta e che si presenta a Naftali in qualità di sostituto. La collaborazione tra i due uomini si svolge in un clima abbastanza disteso, ma immediatamente accade un fatto che incrina l’equilibrio iniziale: una ragazza della zona viene stuprata, proprio in prossimità del terreno di Naftali, e i sospetti ricadono inevitabilmente su Fahed – lo sconosciuto, l’estraneo, l’arabo. Il ragazzo si proclama innocente e Naftali vorrebbe credergli, ma si ritrova contro un’orda famelica di ringhiosi vicini di casa pronti a scagliarsi contro il nemico della patria. Nonostante la situazione generale si complichi a causa di una serie di coincidenze che sembrano inchiodare Fahed, Neftali proverà fino alla fine a proteggere il suo ospite e a far cadere le accuse, facendo leva sull’indole pacifista che alberga da sempre nel suo animo.

Una deliziosa commedia, prodotta, scritta, diretta e interpretata dall’israeliano Tzahi Grad (che recita nella parte del protagonista, il falso burbero Neftali).

L’enormità delle questioni in ballo – il conflitto israelo-palestinese, il razzismo, la territorialità, la paranoia, la paura atavica che si scatena nei confronti di tutto ciò che è altro – non riesce a scalfire la leggerezza che innerva il tessuto drammatico del film. Per quanto i personaggi siano vagamente stereotipati, l’intera operazione risulta fresca e ricca di trovate intelligenti.

Interessante anche il modo in cui il regista integra nella trama alcuni elementi legati alla riflessione sui media (la dimensione dei reality, internet, i social network, l’uso più o meno improprio di foto scattate con i cellulari). Film godibilissimo e umoristicamente corretto.