“Ho vissuto questi 15 anni come se questa vicenda non mi appartenesse” afferma Francesco Verde, interprete nel film e fratello di Gelsomina. “Non è stato facile fare il percorso inverso dell’attore: rifare mia una storia che avevo cercato di tenere lontana e interpretare me stesso”.

La sua è una testimonianza sentita e vibrante, così come il film del regista Massimiliano Pacifico,  basato sui tragici eventi che hanno posto fine alla vita di Gelsomina Verde, torturata e uccisa nel 2004 per affari di camorra. Affari che la vedevano estranea: la ragazza fu coinvolta per aver frequentato, molto tempo prima, un individuo finito, dopo, nel mezzo di una regolazione di conti.

A quasi 15 anni dalla vicenda, ricorrenti a novembre (data d’uscita del film nelle sale) arriva in anteprima mondiale a Pesaro Film Festival un’opera che ambisce a raccontare, sensibilizzare e anche fare chiarezza, attraverso un espediente meta-scenico quasi shakespeariano. La pellicola ritrae infatti un team di attori impegnata a mettere in scena una rappresentazione della storia, con metafore, allegorie e atemporalità tipiche del teatro.

È una soluzione che non solo fa di necessità virtù, valorizzando il piccolo budget del film, ma che interessa e si lascia studiare. Le sequenze di “docu-teatro”, in special modo quelle musicate, sono efficaci e creano una storia terza, tra cinema e realtà, che dà modo agli interpreti di liberare la propria, di voce, nel ricordo e nell’emozione.

La performance di Francesco Verde è quella di una guida, una traccia, e si riappropria di un passato doloroso con consapevolezza di fratello e, acquisita nel frattempo, anche di attore. Ma non solo lui, tutto il cast ha almeno un momento per brillare dentro la regia di secondo grado, cinematografica dietro la camera e teatrale all’interno dell’obiettivo (di Davide Iodice).

Il risultato è un film non perfetto, certo, ma importante al di là di qualsiasi giudizio nel merito, per la responsabilità che porta avanti con merito.