Quando da uno stesso gambo sbocciano due fiori, si dice che sono fiori gemelli. Anna (Anastasyia Bogach) e Basim (Kalill Kone) lo sono. Entrambi infatti sono legati e accomunati dalla stessa sofferenza che deriva da un passato tormentato ed entrambi scappano: lei da Manfredi, un trafficante di migranti per cui suo padre lavorava, lui dalla Costa d'Avorio desiderando di arrivare in nord Europa. Si trovano in Sardegna dove intraprendono un viaggio attraverso le terre deserte, i boschi e i piccoli villaggi. 

E' questa la storia del secondo lungometraggio della regista Laura Luchetti (dopo Febbre da fieno) che è stata presentata in concorso nella sezione Alice nella città della Festa del Cinema di Roma, già ospitata al recente Toronto Film Festival, progetto che nel 2015 è stata selezionato all'Atelier del Festival di Cannes e al Sundance Screenwriters Lab.

Con stile asciutto e attraverso continui flashback (dopo un evento traumatico Anna non parla più e noi ci orientiamo temporalmente tra presente e passato in base alla presenza o assenza della sua voce nel film) questa pellicola riesce fino alla fine a tenerci con il fiato sospeso e a creare con semplicità quella suspense che tanti film (soprattutto italiani) che vorrebbero essere thriller non riescono invece a suscitare. 

 

C'è da dire che Fiore gemello  è un titolo che ricorda quello di un altro bel film italiano uscito due anni fa: Fiore diretto da Claudio Giovannesi, che vedeva protagonisti due giovani che si innamoravano all'interno del carcere minorile dove erano rinchiusi.

Anche lì si raccontava la storia di due anime gemelle, che nelle difficoltà della vita riuscivano a sostenersi l'un l'altro. Un po' come Anna e Basim. Come Giovannesi, Laura Luchetti sceglie quindi di raccontare gli ultimi senza retorica e si concentra sui più giovani. Ne esce fuori un altro bel film, un altro Fiore quasi gemello.