L’esilio è un abbandono, una solitudine terrificante. Durante l’esilio, c’è chi si perde, chi soffre, chi scompare. Exil (Esilio) è il nuovo film di Rithy Panh, che in Proiezione speciale a Cannes 69 – la sua 17esima volta sulla Croisette – continua a interrogarsi, ovvero a ricordare, sul destino del suo popolo, del suo Paese, la Cambogia: adolescente, ovvero 12enne, nel 1976 anch’egli sperimentò l’esilio, in Francia, per sfuggire alla macchina assassina dei Khmer Rossi. A Parigi, studiò cinema, e dedicò il suo primo film, Site 2, al suo passato prossimo in un campo rifugiati della Thailandia.

Non l’avrebbe più abbandonata, la Cambogia, basti qui ricordare lavori splendidi quali S21 (2002) e L’image manquante (2013), in cui Rithy Panh riesce a dare al cinema non un’immagine-tempo, ma un’immagine-ricordo, facendo della forma cinematografica un fissativo senza eguali di quello che è andato ma può essere ancora. Non fa eccezione Exil, costruito intorno a un setting centrale, per metà diorama, per metà videowall ipertestuale, in cui un giovane uomo (Sang Nan) si fa epitome stessa dell’esilio, esule per tutti gli esuli, incarnando l’assenza, la sopravvivenza e la memoria. Mangia topi, lumache, erbe, miseria e povertà estrema, andando con la mano sui bottoni, le fotografie – sporadiche – e gli altri relitti di un retaggio, un’altra vita, che non s’arresta, non può: a contrappuntarne i gesti, la voce (over) narrante, affidata al timbro affascinante di Randal Douc, che prende da Mao, Pol Pot e altri ancora per sondare che cos’è la rivoluzione e quali inevitabili conseguenze si porta appresso.

Allora, “L’uomo sogna la rivoluzione, la rivoluzione sogna se stessa”, “La rivoluzione si tradisce. E’ un preciso fatto estetico” e, ancora, “Esilio e infanzia non si dovrebbero guardare negli occhi”. Un film-saggio, che non indulge nelle immagini di repertorio, me insieme non può farne a meno, perché l’esilio che non possiamo prendere è dai nostri ricordi, ovvero da noi stessi: Rithy Panh fa cinema per non accettare l’ingiustizia e per non cedere alla rimozione, noi lo guardiamo per non cedere a un eterno presente, anche cinematografico, immemore di tutto. Cinema, vita e morte.