“Sono nato nell’epoca dei film noir, sono stato il mastino letale dal morso fatale, il grifo brutale dal grido mortale”. Parola di James Ellroy, uno dei più grandi romanzieri contemporanei, nel ritratto inedito di Francesco Zeppelin.

Nato sotto forma di lunga intervista e trasformato poi nel documentario ELLROY VS L.A, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, sezione Freestyle arte.

La sua Los Angeles è quella degli anni Sessanta, quella che vuole ricordare, magari riscrivere, con cui ha un rapporto intimo, viscerale. Personaggio autoritario quasi respingente, a cui hanno dato del misogino e razzista, sovverte l’idea di un ragazzo traumatizzato dalla morte madre in giovane età e la scrittura una conseguenza per elaborare il lutto.

La storia è invece un’altra, come racconta: “Il mio successo da romanziere incomincia quando ero un ragazzino idiota che amava leggere, tra cinema, teatro, giochi e sport non c’era alcuna possibilità di competizione. Passavo intere giornate nella biblioteca pubblica”.

L’omicidio della madre avviene nel 1958, quando James ha solo 10 anni, strangolata e gettata in un fosso a El Monte, dove lei il figlio si erano trasferiti tre anni prima dopo il divorzio dal padre, Armand, avrebbe dovuto cambiare la sua vita e in certo senso lo ha fatto: “La sua morte ha stimolato in me un’incredibile curiosità per il crime, le punizioni, la polizia e il mistero", dice Ellroy. “Era una ragazza di campagna, già alcolizzata ed era alla ricerca di compagnia”.

Dieci anni prima viene barbaramente assassinata Elizabeth Short, il cui assassinio rimane un cold case. La violenza perpetrata, i capelli tinti di rosso, rimangono impressi nella mente del ragazzino Ellroy e nel tempo sovrappone le due figure finiscono per sovrapporsi nel libro Black Dalia (1987).

Questa conversazione durata giorni contiene molte altre cose interessanti, poche di cinema, se non la sua antipatia per Orson Welles (insopportabile fat boy) e il suo disinteresse per Marilyn Monroe (alcolizzata e piena di barbiturici) e il presidente playboy John Kennedy che voleva solo sedurla.

Gli inserti di cinema sembrano casuali (The Sex Killers, Barry Mahon, The Stranger di Orson Welles, He Walked By Night, Alfred Werker, etc) e forse fanno riferimento ai film che vedeva da bambino.

L’operazione Calibro 35 è geniale e una delle colonne portanti del documentario. Chiarisce il regista “I Calibro 35 sono stati da subito la scelta naturale: le atmosfere scure da loro immaginate, nervose e pulsanti hanno la stessa energia dei romanzi di Ellroy. Non accompagnano soltanto le immagini, ma diventano parte di questa conversazione, aggiungendo tensione e ritmo a un racconto che non concede tregua”.

Un personaggio che sembra uscito da Gran Torino di Eastwood e ha in casa il busto di Beethoven: “l’unico artista a cui mi sento vicino, un angelo mandato da Dio”.