Il regista spagnolo Fernando Trueba (Two Much), complice la penna del fratello David, adatta Oblivion: A Memoir del colombiano Héctor Abad Faciolince, dedicato al rapporto tra sé e il padre Héctor Abad Gómez, medico, professore universitario e attivista uccio dai paramilitari nel 1987 a Medellín.

A incarnarlo è il bravo Javier Cámara, mentre il figlio e futuro romanziere di successo è interpretato ragazzo da Juan Pablo Urrego senza arte né parte e piccolo dall’irritante Nicolás Reyes Cano: la scelta infelice di questi due attori inficia ulteriormente un film che nonostante l’esemplarità di Héctor, buono senza buonismo, probo e generoso, non si eleva dal compitino, dalla confezione televisiva, dall'oleografia in odore di agiografia, da un pubblico d’elezione anziano e stracco quanto la regia stessa, la cui unica trovata è l'associazione di colore e bianco e nero.

Peccato, perché complice Cámara, il professore trasmette(rebbe) qualcosa allo spettatore: tolleranza, amore, dedizione sociale e familiare, con spiccata predilezione per l’unico figlio e l’unica talentuosa e non statuina delle cinque figlie, la cui morte prematura ne carburerà l’impegno politico.

In cartellone alla Festa del Cinema, ha nel titolo, L’oblio che saremo, il suo stesso destino. Singolare.