Gangster Story. Il regista Miles Joris – Peyrafitte dimostra di aver studiato a fondo la lezione di Arthur Penn: la tensione verso la rivolta individuale, l’esasperazione del crimine che finisce in tragedia, il percorso che trasforma, nonostante tutto, i ribelli in eroi. E parte proprio dall’immagine del fuorilegge: come fa Penn per descrivere la realtà prima dell’incubo.

Il titolo è Dreamland, ma qui non esiste una terra dei sogni. La disperazione è quella di Furore, dove la crisi ha ucciso l’America, e la frontiera non è più terra di conquista da molto tempo. Si guarda ancora alla California, come al paradiso da raggiungere, ma in pochi sanno che non è più così da tanto tempo. Dreamland cerca e forse trova la salvezza in una dimensione onirica, dove la speranza, la felicità vengono mostrate con un cambio di formato, in 4:3. L’oceano e gli scogli rappresentano invece il miraggio lontano di una purificazione che non riesce a concretizzarsi.

 

Joris – Peyrafitte scatena la furia degli elementi, sottolinea lo stretto legame tra uomo e natura. Tempeste di sabbia si abbattono su piccoli paesi, gli abitanti si nascondono nelle case. È la solitudine a segnare l’infanzia dell’assassino: il distacco dal padre, la ricerca di una valvola di sfogo per la propria rabbia. Billy Kid sullo sfondo, come se si volesse evocare il simbolo di ogni ribelle senza causa. Ma il western, il genere fondativo per eccellenza, si è ora fatto gangster movie, mantenendo le stesse ambientazioni e sostituendo le pistole con le armi automatiche. Femmina e mitra, avrebbe detto William Witney con un piccolo film del 1958, e forse nessun’altra definizione sarebbe più azzeccata.

Un giovane ancora incerto sul suo avvenire scopre che una pericolosa Margot Robbie si nasconde nel suo fienile. La cura, la nutre, si innamora di lei. E insieme corrono verso l’agognato Messico, come se fossimo ancora in Getaway! con Steve McQueen e Ali McGraw. Dreamland trasuda passione, sensualità, desiderio. L’attrazione tra i due protagonisti è palpabile. Joris – Peyrafitte si concentra sui corpi, non allontana la macchina da presa quando bisogna estrarre una pallottola, quando i cadaveri giacciono crivellati sull’asfalto.

 

 

Non gli interessa analizzare il presente, non segue la via di Penn (raccontare il passato per alludere al sanguinoso conflitto in Vietnam), anche se a volte il richiamo al pilastro del 1967 è molto forte: la violenza, l’orrore, i rallenty. Il cineasta si focalizza sul ricordo, sulla paura di essere dimenticati. Narra la storia come se fosse una favola nera, con la voce fuori campo che sfiora il “c’era una volta” ma è costretta a schivare il classico “e vissero tutti felici e contenti”. Niente di nuovo, s’intende. Però tutto appassiona, coinvolge, trasporta in un’altra epoca, con Dillinger alle spalle e la polizia che promette un futuro di ordine e giustizia.

Nella sua opera seconda, Joris – Peyrafitte continua a misurarsi con la rabbia della provincia dimenticata, con l’odio che abita le nuove generazioni. In As You Are i suoi ragazzi si rifugiavano nella musica, nei Nirvana di Kurt Cobain. Dovevano mettere a nudo le loro vite davanti a una telecamera. Ma qui non si tratta di una confessione: è la vicenda di un essere senza radici, di un Clyde che inseguirà per sempre la sua Bonnie. Il film è stato presentato nel 2019 al Torino Film Festival.