Otto anni dopo Love & Mercy, che raccontava di Brian Wilson e la nascita dei Beach Boys, il produttore Bill Pohlad torna dietro la macchina da presa per raccontare un’altra storia incentrata sulla musica.

“A Time Capsule Set to Song”: la storia è quella di Donnie Emerson, di suo fratello Joe, della loro famiglia. Sullo schermo prende vita il racconto reso al mondo da Steven Kurutz sul New York Times (“Fruitland”), l’incredibile riscoperta di un duo musicale, i fratelli Emerson appunto, che negli anni ’70 incisero un unico album – autoprodotto – Dreamin’ Wild, ignorato da chiunque ma tornato in auge intorno al 2011.

Musical atipico, ammantato di una malinconia profonda, il film di Pohlad ragiona in maniera molto intelligente sulla possibilità che un sogno si avveri, ma che questo avvenga con troppi anni di ritardo.

 

Donnie Emerson (Casey Affleck, sempre convincente) non è più il sedicenne di una volta (lo interpreta Noah Jupe, A Quiet Place), ragazzino che trascorreva le notti a scrivere canzoni, ora è sposato con Nancy (Zooey Deschanel), papà di due bambini e gestisce uno studio di registrazione prossimo al fallimento. Insieme alla moglie suona in giro, ma lo stato d’animo è quello di un uomo roso da un senso di colpa difficile da superare.

“La storia di Donnie Emerson intreccia amore, lealtà, seconde occasioni e la possibilità di vedere i propri sogni avverarsi. Al contempo è anche una storia di dolore, di rimpianto e delle complicazioni che i sogni possono portare con sé”, dice Bill Polhad, che attraverso il film restituisce questa sensazione costante alternando al qui e ora di una disillusione che potrebbe trovare un insperato riscatto il passato di un’eccitazione in cui tutto sembrava possibile, l’illusione di un successo che invece non si è mai materializzato.

Tratteggiato dalle musiche (e canzoni) dello stesso Donnie Emerson, Dreamin’ Wild si concentra sì sulla possibilità delle seconde chance ma anche, e soprattutto, sulle implicazioni interiori che queste comportano: la gente vuole sentire canzoni che probabilmente allo stesso Donnie non appartengono più. E l’uomo è costantemente in lotta con i fantasmi di un tempo spensierato, ricco di speranze, tradito però dagli eventi.

 

Mentre tutto intorno, dal fratello (Walton Goggins) che ormai si occupa di tutt’altro, ai genitori (con il papà interpretato da Beau Bridges che un tempo aveva ipotecato migliaia di acri della fattoria per investire sul talento del figlio), regna l’eccitazione di una nuova possibilità.

“A Time Capsule Set to Song”, scriveva Steven Kurutz, una frase bellissima che catturava lo spirito di una vicenda che ora il film di Polhad traduce su schermo, in maniera convincente, senza strafare, rischiando di "dire troppo" verso il finale (di fatto creando una ridondanza con quanto già intuito senza bisogno delle parole frontali), trovando poi i reali protagonisti, in un locale, a cantare Dream Full of Dreams.

"Looking back on how it was

Will it ever be the same?"