Al cinema le storie di amicizia tra poliziotti e bambini non sono una novità, ma inedita è la sua versione al femminile e rara la capacità di inserirla dentro un discorso più ampio e complesso sui temi del pregiudizio, della giustizia e della morale.
E quanto riesce a fare l'esordiente sudcoreana (classe 1980) July Jung con Dohee-Ya, in gara in Un Certain Regard e fortemente candidata alla Camera d'Or come migliore opera prima.
Il film si apre e si chiude con la soggettiva di una macchina che attraversa una strada in una giornata di pioggia, ma al suo interno qualcosa è cambiato. Su quell'autovettura viaggia inizialmente solo Young-nam (un'intensa Doona Bae), giovane e promettente capo della polizia appena trasferita da Seul a un piccolo villaggio costiero. La prima persona nella quale Young-nam si imbatte è anche quella che le cambierà la vita: la piccola Dohee (Sae-ron Kim), una pre-adolescente difficile e taciturna, abbandonata dalla madre anni prima e oggetto delle vessazioni dei compagni di scuola e della famiglia adottiva. In particolare del padre Yong-ha (Sae-Byuk Song), un uomo dal bicchiere facile ma molto rispettato nella comunità perché titolare di un'importante attività peschiera che dà lavoro a tanti (per la gran parte, si scoprirà in seguito, immigrati irregolari).
Young-nam prende subito a cuore la situazione della bambina, mettendosi praticamente contro tutto il villaggio. D'altra parte, non passerà molto da che la piccola chiederà alla sua protettrice in uniforme di tenerla in casa, per evitare altre percosse dal patrigno. Ma le cose si rivelano più complicate: la vita della stessa poliziotta è tutt'altro che cristallina, tra problemi disciplinari, dipendenza dall'alcol e "relazioni pericolose"; la nonna di Dohe intanto muore annegata ma non tutti credono nell'incidente; la stessa Dohee svilupperà presto un attaccamento morboso a Young-nam, che potrebbe innescare qualcosa di violento e di pericoloso al primo passo falso della donna. Che è precisamente quello che avviene.
Dohee-Ya è un'opera che scopre le sue carte pian piano, costringendo lo spettatore a riconsiderare ogni volta le sue aspettative e il suo punto di vista. La relazione tra adulta e bambina resta sempre a fuoco, ma aperta continuamente a ricadute inaspettate: davvero il comportamento della poliziotta è sacrosanto? E la bambina, è realmente così vittima come vuol far credere?
July Jung riesce a costruire attorno alle sue due eroine una fitta nebbia morale, lasciando allo spettatore il compito di dissolverla, di orientarsi e di trovare una propria strada. Non è un caso che il film, immerso per intero nei colori caldi della fotografia di Hyunseok Kim, riservi gli unici due momenti di grigia opacità all'inizio e alla fine del suo percorso, come se quanto accaduto non sia servito a fare maggiore chiarezza.
Da un doppio vetro appannato la Jung ci invita a scrutare i segreti dell'animo umano, senza rinunciare a osservare dallo specchietto retrovisore le contraddizioni di una società ricca e coesa, ma moralmente ipocrita e culturalmente gretta.