A Natale, nel periodo più freddo della stagione, dove le sale si riempiono di cinema popolare, a volte accondiscendente e fintamente consolatorio, c’è anche un piccolo e controverso film che arriva, dopo aver girato numerosi festival e aver vinto il premio della giuria ecumenica al Festival di Berlino, finalmente in Italia.

Diretto da una regista macedone, la brava Teona Strugar Mitevska, God Exists. Her name is Petrunya (questo il titolo originale) è un film che pur svolgendosi in una giornata ha il peso e la profondità di una storia che si sviluppa in decenni.

Petrunya (la sorprendente Zorica Nusheva, conosciuta come comica) ha trentadue anni, è trascurata, robusta, ha una laurea in Storia e nessun lavoro. All’ennesimo colloquio, maschilista e denigratorio, Petrunya si ritrova di nuovo senza una direzione nella sua vita. Camminando verso casa assiste, per caso, a una processione ortodossa dove le preghiere si concludono con il lancio di una piccola croce di legno in un ruscello: l’uomo che la prenderà per primo, la possederà. E avrà un anno fortunato.

Lì dove si mescolano spiritualità e superstizione si inserisce Petrunya. Vede da lontano la Croce e si lancia, non temendo il freddo dell’acqua. Sarà lei a prenderla per prima. Il suo, un gesto impulsivo e sincero, sarà considerato offensivo e insolente da tutta la comunità: solo un uomo, per tradizione, può recuperare la Croce e ora che non è un uomo ad averla trovata, la Croce deve ritornare nelle mani della comunità religiosa di riferimento.

Dalla prigione sopportabile dell’appartamento in cui Petrunya vive con una madre oppressiva e un padre comprensivo, si passa alla stazione di polizia dove la protagonista, senza un vero mandato di arresto, è costretta a non allontanarsi.

In questo intenso film la regista, che ha scritto anche la sceneggiatura con Elma Tataragic, entra in un piccolo fatto di cronaca realmente accaduto (il lancio della croce in acqua è una tradizione ortodossa che si svolge ogni 19 gennaio; nel 2014 nella macedone Štip è stata una donna la prima a trovarla) e lo trasforma in una grande riflessione sulla difficoltà contemporanea a essere sé stessi e a trovare la propria strada, in un mondo di uomini chiusi nella loro mentalità angusta.

Dio è donna e si chiama Petrunya
Dio è donna e si chiama Petrunya
Dio è donna e si chiama Petrunya

Ma soprattutto in una comunità legata da tradizioni che rischiano di diventare convenzioni irrazionali, guidate da Stato e Chiesa che possono non corrispondere al loro compito.

Si sbaglierebbe, però, a etichettare questo film come un film femminista che colpisce il sistema politico e religioso: Dio è donna e si chiama Petrunya è invece un film che modula, con suoi piani registici medi e quasi scultorei, la necessità di avere una società più giusta, più gentile e più razionale.

Non c’è bianco e nero in questo film, ma c’è l’azzurro della solitudine e il niveo colore della purezza, c’è l’imperfezione normale del corpo e la perfezione ideale della vita, c’è la durezza di chi racchiude il mondo in una mano e di chi riacquista il sorriso perché, forse, è possibile una nuova vita, anche se già solcata da altri, come quella strada tracciata nella neve.