La protagonista di Dafne, un film teso tra dramma e commedia ma senza pietismo, Carolina Raspanti, classe 1984, è una delle quarantamila persone che oggi in Italia sono affette da sindrome di Down. Eppure la pellicola di Federico Bondi, vincitore del premio FIPRESCI nella sezione Panorama dell’ultima Berlinale, non parla di disabilità. Nessuno pare notare la diversità di Dafne, neanche lo spettatore.

Maria (Stefania Casini) e Luigi (Antonio Piovanelli) sono una coppia di toscani attempati ma saldi e uniti, il cui grande amore si riflette in Dafne, loro unica figlia, una trentenne loquace, diretta, spiritosa, volitiva, che vive con loro e lavora in una Coop.

L’improvvisa scomparsa della madre manda in frantumi gli equilibri familiari: Dafne e il padre, dopo i primi momenti di smarrimento, confortati dall’affetto di familiari, amici e colleghi, affrontano il ritorno alla vita quotidiana, alla casa più vuota di prima, al lavoro, riuscendo a mantenere uno spirito combattivo e una sensibilità davvero inaspettati. I due diventano così l’uno ragione di vita per l’altra.

Quando Dafne propone al padre di raggiungere a piedi il cimitero arroccato sull’Appennino dove riposa la mamma, la passeggiata si trasforma in un viaggio di scoperta, di vicinanza, di confidenze, di rivelazione di sentimenti profondi e struggenti e, nel tentativo di guardare avanti, scopriranno molto l’uno dell’altra.

La protagonista non subisce la propria diversità ma la accoglie, ci dialoga, vive la sua condizione con equilibrata serenità. In un mondo che “obbliga” all’efficienza e all’illusorio superamento della sofferenza, Carolina/Dafne ci ricorda di accettare, nei suoi limiti, la condizione data a ciascuno e di viverla pienamente.

Questo insolito on the road tra padre e figlia mette certamente a fuoco le dinamiche genitoriali messe a dura prova dal corso della vita, ma ci aiuta a riconsiderare, ed è questo il suo merito principale, la resilienza nascosta nelle persone apparentemente più indifese e fragili. E la bravura di Bondi è stata nel riuscire a non trasformare la disabilità in mero intrattenimento.