Dei brutti film si dice sovente abbiano una bella fotografia, ma per questo What Happens Later dobbiamo fare un’eccezione: belle nemmeno le luci, coadiuvate di immagini aeroportuali stock.

In Italia, anteprima al quindicesimo Bif&st e dall’11 aprile in sala, con il titolo, invero pertinente, Coincidenze d’amore, è l’opera seconda di Meg Ryan, che mancava dal grande schermo dall’esordio alla regia, anche interpretato, Ithaca del 2015. Ecco, non che ci fosse la fila per riportarla sul set, e il tempo nemmeno le ha portato consiglio: la rom-com recitata al fianco di David Duchovny non eccita, non incanta, insomma, non.

Scritto con Steven Dietz, dalla sua pièce Shooting Star, e Kirk Lynn dalla stessa Ryan, vorrebbe eternare presso gli spettatori la nostalgia canaglia dell’incontro tra ex, e fermiamoci un attimo, ci scappa la battuta cattiva: non solo i personaggi, sono ex anche gli attori, la star di Harry, ti presento Sally… (1989) e il Fox Mulder di X-Files, entrambi con un glorioso passato e un non così radioso presente.

A rendere più canaglia il tutto l’accanirsi del tempo, ovvero l’improvvido contenimento dello stesso operato sul loro volto, e segnatamente quello di Meg Ryan: chirurgia estetica, lifting, botox, il campionario è verosimilmente ingente, ma il risultato deludente, e non infieriamo oltre. Non bastasse, in questa sorta di masochismo preterintenzionale, la Nostra si ritaglia un personaggio zoppicante: non è dato sapere cui prodest, e forse una ratio non c’è.

Mollati gli ormeggi, calmierati ma non dissipati gli imbarazzi, per Coincidenza d’amore si va nella romantic comedy di scorso lignaggio e attuale depauperamento: pare un simulacro, la copia – e la coppia – di un originale mai esistito, e però così presente, pardon, passato nella filmografia della regista, attrice e co-sceneggiatrice.

Il Later del titolo originale è davvero indebito, promessa di felicità drammaturgica non mantenuta, premessa di vecchia gloria non esaudita: la sessantaduenne Ryan gioca a rifare sé stessa e i suoi filarini che furono, chiedendo agli anni di essere gentili e agli annali di essere smemorati. Sicché due ex che, ritrovati dalla cancellazione dei rispettivi voli per una tempesta di neve, trascorrono la notte in aeroporto e rivivono il loro passato, tra aborti spontanei, coppia aperta invero chiusissima e altre amenità calate nello spirito del tempo, più che democratico – partito per cui Meg si è spesa – repubblicano oltranzista, in cui il new age senescente scopre il fianco al se non suora quando.

Prendetela così, con beneficio d’invenzione, ma la trasgressione – e l’autodeterminazione femminile – non abita qui: Meg Ryan, chi era costei?

Non che il coté maschile sia scevro di piccinerie, con il già bel David che si gratta la mascella per dissimulare frustrazione e, sopra tutto, che si autodiagnostica un’ansia preventiva assai perniciosa: non tanto per la relazione diegetica, bensì per gli esiti spettatoriali. Per farla breve, l’ansia preventiva è del pubblico nei confronti di What Happens Later. Meg Ryan è meglio in homevideo, fidatevi.