Belga, classe 1991, Lukas Dhont si è rivelato a Cannes 2018: l’esordio Girl gli è valso la Camera d'or. A soli trentuno anni trova la massima competizione con l’opera seconda, Close, che non è solo titolo ma indicazione poetico-stilistica: stare attaccato al soggetto che s’è scelto, l’amicizia totalizzante tra due tredicenni: Léo (Eden Dambrine, super) e Rémi (Gustave De Waele).

Scritto come il precedente a quattro mani con Angelo Tijssens, prodotto dal fratello Michiel Dhont, non ha nulla di inedito nel soggetto, molto da plaudire nella resa: quell’amicizia, fusionale, incondizionata, cosmogonica, si incrina al contatto con il mondo, ovvero la scuola.

Tratto da una storia vera scoperta in un ritaglio stampa, Girl inquadrava un'adolescente transgender nata da ragazzo che ha piegato il suo corpo alla disciplina della danza per diventare una prima ballerina. Lukas sognava di essere un ballerino prima di diventare un regista, ma l'ispirazione biografica per quel film si è fermata lì.

Vissuto come un "confronto con il suo passato", il suo secondo lungometraggio scava nell’intimità, raccontando la rottura di un sodalizio, il concretarsi della delusione, l’affacciarsi della disperazione. No, non era tutto possibile in quell’amicizia, anzi, lo era: fino alle estreme conseguenze.

Il de profundis si leva dai banchi, le compagne chiedono a Léo se stia insieme a Rémi, qualche altro compagno lo bullizza, e lui si ritira, diviene permeabile al mondo là fuori, fuori dalla relazione già esclusiva con Rémi: al mattino non lo aspetta più per andare insieme in bicicletta, la notte non ci dorme più assieme, si iscrive a hockey, e l’amicizia già onnipotente implode e deflagra.

Le immagini accolgono, di più, partecipano, cantano l’idillio, catalizzano la fine, suturano l’elaborazione, richiamano il perdono: Dhont è fine, lirico a tratti, lucido sempre, empatizza senza ricattare, colpisce senza colpi bassi, invita a prendere il fazzoletto, di necessità e con virtù.

Vengono in mente Truffaut, Doillon e i primi Dardenne, non fa prigionieri, ma è clemente nel dolore, riconoscente nella gioia, aperto nella redenzione. Tutto davvero fatto molto bene, complici i campi di fiori che battezzeranno l’unione e, nella recisione su larga scala, preconizzeranno il lutto: Eden Dambrine è fantastico, Émilie Dequenne, nei panni della madre di Rémi, non è da meno, l’intimità taglia, ma questo cinema è catartico.