La bellezza circonda i personaggi di Call Me by Your Name, il nuovo film di Luca Guadagnino nel Panorama di Berlino dopo il successo al Sundance. Mitologicamente, è come se la bellezza creasse il film stesso, che si apre su titoli di testa che mostrano statue, dipinti, opere d’arte che popolano la casa in cui si ambienta il film: e Guadagnino a questa bellezza, e a quella dei laghi del Nord Italia in cui il film si svolge, rende onore con il suo film più maturo e forse più bello.

Protagonista è Elio, un ragazzo che nell’estate dell’83 scopre la sua sessualità prima con la coetanea Marzia e poi con Oliver, un amico di famiglia più grande di lui. Il romanzo di culto di André Aciman diventa nella sceneggiatura del regista scritta con James Ivory (da cui parte il progetto cinematografico) e Walter Fasano (anche montatore) una commedia di scoperta sessuale ed esistenziale di stampo in un certo senso impressionista.

Non solo per l’ambientazione spesso all’aria aperta esaltata dalla fotografia di Sayombhu Mukdeeprom (autore della cinematografia nel cinema di Weerasethakul), ma soprattutto perché Chiamami col tuo nome diventa sempre più un film intimo che si concentra sulle sensazioni di Elio, che si fa stile proprio partendo dal filtro del suo sguardo o del suo orecchio musicale, come nella sequenza centrale in cui la sua momentanea solitudine diventa un gioco di riverberi luminosi della pellicola accompagnata dalla malinconia sonora di Sufjan Stevens (che contribuisce alla bella colonna sonora con tre canzoni). Guadagnino si sovrappone sempre più al protagonista, la macchina da presa ne segue gli sguardi, ne assapora le emozioni mentre il rapporto tra film e location, tra ambienti e sentimenti diventa sempre più fitto.

Delicato nel tocco ma concreto e sincero nella rappresentazione, come in una bellissima sequenza con una pesca, Chiamami col tuo nome conferma la sensibilità estrema del cinema di Guadagnino tanto nella gestione dell’immagine e del suo portato emotivo, quanto nella direzione degli attori sempre più precisa, espressiva, comunicativa: i duetti tra Arnie Hammer e il giovane Timothée Chalamet sono spesso splendidi, ma anche i comprimari (tra cui Michael Stuhlbarg, a cui il film lascia un monologo di grande intensità) chiudono il cerchio di un film che pone il regista - spesso incredibilmente contestato in patria - come uno tra i pochissimi capace di un cinema di respiro e importanza internazionale.

Candidato a 4 premi Oscar: miglior film, attore protagonista (Timothée Chalamet), sceneggiatura originale e canzone originale (Mystery of Love di Sufjan Stevens).