Londra, 1977: il neonato movimento punk sta ponendo una pietra tombale sui barocchismi del progressive-rock, quando tre spavaldi trentenni dal ciuffo biondo e dal piglio snob cominciano a miscelare furore punk, passo reggae e raffinatezze jazzistiche con sbruffonesca nonchalance. I tre si chiamano Sting, Andy Summers e Stewart Copeland, il nome della loro band, The Police, è uno schiaffo parodico alla furia iconoclasta del punk che li ha visti crescere e che assisterà, inesorabilmente, all'irresistibile ascesa del gruppo negli anni seguenti, sino a uno stratosferico successo mondiale.
Basato sul bestseller autobiografico One Train Later, scritto dal chitarrista Andy Summers, Can't Stand Losing You è un docufilm intrigante e al contempo signorile, full of Britishness come i suoi protagonisti, impegnato a ripercorrere il folgorante tragitto di una delle band simbolo della musica contemporanea; in una manciata d'anni (1977-1983) e con appena cinque dischi all'attivo, i Police sono riusciti a conquistarsi un posto d'onore nell'Olimpo del rock prima di cedere dinanzi all'inevitabile cocktail di protagonismi, eccessi e aberrazioni da show-business che ne sancirà il precoce scioglimento. Trent'anni (di liti) dopo, un trionfale reunion-tour in tutto il mondo segna il ritorno della band, pronta a congedarsi dai propri fan in grande stile. C'è poco da fare, i Giganti del rock sono ormai tutti o nella tomba o in via di mummificazione e, con la penuria di Miti ed Eroi che affligge il mondo nelle ultime decadi, non ci resta che celebrare la grandezza del tempo che fu.
Questo Can't Stand Losing You, a firma di Andy Grieve e Lauren Lazin, viene a inserirsi nella lista di documentari-verità che celebrano le glorie rock del secolo scorso e, senza dubbio, si situa fra i migliori, sulla scia dell'intenso When You're Strange (2009) di Tom DiCillo, dedicato ai Doors. Il merito maggiore del film è senz'altro il piglio autobiografico garantito dalla voce e dalla ricostruzione dello stesso Andy Summers: gli inizi stentati del gruppo in una Londra ancora stordita dalla contestazione, i primi successi, lo stress alienante di tour mondiali infiniti e i capricci e le incomprensioni di rockstar viziate che, pian piano, non riescono più a comprendere le ragioni dell'amicizia che un tempo era stata alla base di un sodalizio artistico esplosivo.
Morale della serie: gli anni passano e il mondo prosegue il suo cammino folle, ma il message in a bottle lanciato da Sting & Co ha raggiunto la destinazione, superando lo scoglio del tempo col suo accorato, e indiavolato (com'è proprio della musica rock), appello alla lotta contro la solitudine e la disperazione.