È Possagno il cuore di Canova: per il documentario prodotto da Magnitudo Film e diretto da Francesco Invernizzi il paese natale del grande scultore, nonché sede della Gypsotheca e Museo Antonio Canova, è stato scelto come luogo privilegiato per raccontarne vita e opere.

Tornando alle origini dell’artista e affidandosi allo straordinario patrimonio di gessi (ma anche bozzetti, disegni e dipinti) conservato nel Museo, ciò in cui il documentario riesce meglio è restituire dettagli della personalità di Canova (ferma e riservata, nostalgica e decisa, gelosa della propria libertà) e sottolineare il suo ruolo incisivo nella politica culturale italiana (fu anche Presidente della Commissione Pontificia per le Belle Arti) come strenuo difensore dell’arte italiana e del valore storico della collocazione delle opere d’arte.

Per dire: se si ricordano spessissimo le spoliazioni napoleoniche, più raramente si ricorda che fu proprio Antonio Canova a ottenere da Luigi XVIII la restituzione dei capolavori italiani sottratti.

Alla diplomazia e alla fermezza si affiancano nel quadro restituito da Canova grazia, armonia e talento. In un percorso di approfondimento introdotto da Vittorio Sgarbi (anche in qualità di Presidente della Fondazione Canova) e attraverso i gessi della Gypsotheca di Possagno, si passano in rassegna le opere principali e le tappe della carriera dell’artista, segnate dalla storia tumultuosa della sua epoca. “Uomo di due secoli, uomo di due epoche”, lo definisce Sgarbi, “artista della crisi e di un’armonia improvvisamente interrotta”.

In un documentario dalla struttura “ordinata”, Canova è raccontato come artista internazionale, richiesto da illustri committenti, da Thomas Jefferson ai reali d’Inghilterra; e come figura culturale di spicco nella salvaguardia del patrimonio artistico della nostra penisola.

Con la guida del direttore del museo Mario Guderzo, lo spettatore è portato a prestare attenzione al modus operandi di Canova: se è vero che il documentario mostra esclusivamente gessi (e a dire il vero si sente la mancanza di almeno qualche esemplare in marmo), Guderzo insiste sullo statuto di originale dei gessi, di cui le sculture in marmo sarebbero solamente le copie.

Non c’è da aspettarsi dunque di vedere marmi levigati, ma biancori più polverosi e costellati di repères (chiodini di bronzo) che Canova e i suoi collaboratori usavano come punti guida per sbozzare i blocchi di marmo su cui riportare il modello. A un pubblico generalista tuttavia avrebbe potuto far piacere qualche indicazione in più sulla collocazione attuale di alcuni dei marmi modellati sui gessi che compaiono sullo schermo, cui si accenna solo in pochi casi.

Brani di poesie e citazioni di notissimi autori (le lodi di Canova tessute da Byron e Stendahl, ma anche versi di Foscolo e Keats) punteggiano la carrellata di riprese in alta definizione (8K HDR) – che si soffermano molto sui dettagli delle opere fornendo solo fugaci visioni d’insieme di ogni singola scultura – e contribuiscono a ricreare quel sentimento di grazia, bellezza, ma anche inquietudine e nostalgia che caratterizza l’opera canoviana.

Il risultato finale del documentario è la testimonianza artistica di un’esistenza in bilico tra due epoche, nostalgica di un passato perduto in un tempo di enormi rivolgimenti storici, lascito di un artista che si ispirò a sublimi modelli antichi per reinterpretare un presente caotico e tentare di dar forma a un futuro inimmaginabile.