In una remota valle del Galles del Nord, il solitario Brian trascorre il tempo ad inventare cose. Una borsa di pigne, una cinta da uova, un orologio a cucù volante (che prende fuoco ben prima di spiccare il volo). Poi, un giorno, Brian costruisce un robot. Per farlo utilizza una testa di manichino e una vecchia lavatrice. Ci mette un po’ ad attivarsi, Charles, questo il nome che sembra preferire (“Charles Petrescu”, per l’esattezza), ma quando lo farà la vita di Brian cambierà sensibilmente.

Jim Archer si ispira al suo omonimo cortometraggio del 2017, scritto anche allora insieme a Chris Hayward (che veste i panni del robot) e porta sullo schermo un delicatissimo buddy movie incentrato sulla solitudine e sul potere dell’amicizia.

Servendosi della prova maiuscola di David Earl (comico britannico che abbiamo già imparato a conoscere grazie al sodalizio con Ricky Gervais, da Derek ad After Life passando per L’ordine naturale dei sogni), Brian e Charles – già apprezzato allo scorso Sundance Film Festival e, più recentemente al Giffoni – inizia come una sorta di mockumentary in cui il protagonista sfonda la quarta parete e racconta la sua quotidianità direttamente in macchina.

David Earl stars as Brian in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Courtesy of Will Davie / Focus Features
David Earl stars as Brian in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Courtesy of Will Davie / Focus Features
David Earl stars as Brian in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Courtesy of Will Davie / Focus Features
David Earl stars as Brian in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Courtesy of Will Davie / Focus Features

Poco a poco, però, e non casualmente, il film prende la sua fisionomia più congrua: Brian non è più solo e, in modo abbastanza naturale, non ha più tempo per auto-romanzarsi. In poche parole, non parla più con noi.

L’attivazione di Charles è un’epifania: forma di vita in grado di parlare e camminare, impara le cose in modo talmente veloce e sorprendente da sviluppare in breve tempo anche un’autonomia caratteriale ai limiti del “periglioso”.

Proprio come un bambino spinto da un’insaziabile curiosità, il robot inizia a sentirsi stretto in quella casetta lontano da tutto e tutti: vuole conoscere il mondo, emanciparsi, scoprire cosa c’è al di là di quell’albero che si frappone all’orizzonte.

Brian però lo mette in guardia sulla pericolosità del mondo esterno. E, nel suo piccolo, la minaccia è già a qualche centinaio di metri di distanza: il prepotente Eddie Tommington, agricoltore locale che già in passato gli ha sottratto alcune cose.

“Realizzare questa storia il più seriamente possibile”: in questo modo Jim Archer riesce a tenere perfettamente bilanciata la cifra del film, commedia la cui natura grottesca non prende mai il sopravvento sulla tenera malinconia di un luogo, dei suoi personaggi e, soprattutto, di un rapporto sui generis sublimato da quell’abbraccio finale sulla banchina ferroviaria.

(L to R) David Earl stars as Brian and Louise Brealey as Hazel in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features
(L to R) David Earl stars as Brian and Louise Brealey as Hazel in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features
(L to R) David Earl stars as Brian and Louise Brealey as Hazel in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features
(L to R) David Earl stars as Brian and Louise Brealey as Hazel in director Jim Archer's BRIAN AND CHARLES, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features

Rapporto che aiuterà lo stesso Brian ad aprirsi al mondo, in primis riuscendo finalmente a stabilire un contatto con l’altrettanto timida Hazel (Louise Brealey), poi spronandolo ad utilizzare il proprio talento per riportare a casa quell’amico assemblato con i rottami, sparito chissà dove.

“Intanto inizia, poi lascia fare all’immaginazione”. In fondo Brian e Charles non fa altro che riattualizzare il Pinocchio collodiano: la solitudine è la miccia, l’imprevedibilità dell’invenzione, della creazione, il motore che alimenta poi innumerevoli varianti.

Charles è quindi metafora che si presta a molteplici letture, personaggio che in qualche modo il cinema ha già raccontato altre molte volte: bizzarro ma familiare, senza la benché minima pretesa di imporre l’interpretazione che ogni sguardo vorrà dargli.