Bob Marley, chi era costui? Lo capiamo presto, tra un Jah, un Rastafari, pronuncia rastafarai, un tot di canne, nemmeno troppe, e i dread, così salvifici da bloccare un proiettile “a un millimetro del cervello” (della di lui moglie, Rita).

È Bob Marley: One Love, che con l’approvazione e la collaborazione fattiva della famiglia Marley celebra l’icona reggae e il suo messaggio di amore e unione. Per la prima volta sul grande schermo, è incarnato con buona rassomiglianza da Kingsley Ben-Adir, che purtroppo “non balla”, mentre Rita è appannaggio di Lashana Lynch: il coté di coppia è fondamentale nell’economia del film, diretto dal Reinaldo Marcus Green di King Richard, prodotto dal figlio di Bob Ziggy e co-prodotto dalla Plan B di Brad Pitt, che figura tra gli executive producers.

Sceneggiatura di Terence Winter, Frank E. Flowers, Zach Baylin e lo stesso regista, nel cast anche James Norton, Tosin Cole, Umi Myers, Anthony Welsh e Nia Ashi, il biopic s’avvia nel 1976 allorché poco prima del concerto distensivo – il paese è sull’orlo, e più, della guerra civile - Smile Jamaica Bob, Rita e il manager Don Taylor cadono vittime dell’attacco di un gruppo armato. Nondimeno, Bob Marley si esibì, ma la situazione del Paese gli suggerì presto di partire per l’Inghilterra, dove avrebbe registrato l’album Exodus. Qui nel ’77 un contrasto sul campo di calcio gli procurò una ferita all’alluce: ancorché infortunio, la diagnosi avrebbe rivelato un melanoma acrale, che gli sarebbe risultato fatale.

Marley morirà a soli 36 anni, non prima di spendersi in un nuovo concerto politico in Giamaica, One Love Peace Concert, che portò sul palco i due leader rivali Michael Manley ed Edward Seaga, e in quello, agognato, nella “sua” Africa, e segnatamente in Zimbabwe.

Il punto di forza, ovviamente, sono le canzoni, anche quelle cui Ben-Adir si presta con ugola propria, e gli affezionati ai Bohemian Rhapsody e Elvis ultimi scorsi non mancheranno di gradire parimenti. Certo, la committenza o convergenza familiare non ammette conflitti e tormenti, sicché tra ska e reggae si insinua il latte alle ginocchia, ma come non apprezzare il buon Marley, star perfino suo malgrado e pacifista per partito preso, quello dell’amore?

Sorprende, almeno noi, che avesse un padre bianco, britannico, mentre non sorprende il trattamento filiale di primissimus inter pares che Ziggy il produttore si ritaglia, come se papà non ne avesse avuti altri dodici, per il resto prendere o lasciare: la fattura è dignitosa, l’osservanza scrupolosa (e pastorizzata), l’emozione balugina, e la musica, be’, che musica. Eppure, tracima il dubbio: che ci azzecca Bob con questo effetto (cannabis) light?