Segnatevi questo nome: Selman Nacar. A solo trentuno anni, natali nella Provincia di Uşak, Turchia, nel 1990, è il regista più vicino a un signor collega capace, tra le altre cose, di prendere due volte il premio Oscar al miglior film straniero (oggi internazionale) con Una separazione e Il cliente nel 2012 e 2017, ovvero di iscrivere il proprio nome tra i grandi del XXI secolo, l’iraniano Asghar Farhadi.

La sua opera prima, che finalizza un tot di cortometraggi, Between Two Dawns è in Concorso al 39° Torino Film Festival, dopo essere stata battezzata a San Sebastian: che se lo siano lasciati sfuggire Cannes, Venezia et alia è un mistero della fede, ma non sottilizziamo.

fare un festival è difficile, anche perché parrebbe di capire che i grandi film non abbondino. Per dire, in questo scorcio di 39° TFF abbiamo fin qui visto l’esordio alla regia dell’attrice francese Sandrine Kiberlain, Une jeune fille qui va bien, che frulla Anne Frank e Amélie Poulain, Il tempo delle mele e il cinéma de papa, senz’altro merito che la bella (e brava) protagonista Rebecca Marder, e il tremendo canadese Le bruit des moteurs debutto autobiografico del québécois Philippe Grégoire, un romanzo di formazione doganale tanto presuntuoso quanto sciocco.

Insomma, trovare una gemma come “Tra due albe” è cosa rara e ancor più preziosa, e diciamolo subito: che qualche distributore illuminato lo proietti al buio delle nostre sale.

Coproduzione di Turchia, Francia, Romania e Spagna, mette di fronte l’(anti)eroe Kadir (Mücahit Koçak) a una teoria di dilemmi morali dopo che un operaio rimane gravemente ustionato nella fabbrica tessile di famiglia: che fare, ammesso ci sia una risposta, ovvero una possibilità. Kadir sta per chiedere la mano della fidanzata, con cui ha già rapporti sessuali, non vuole deludere il fratello maggiore, che è subentrato al padre nella gestione aziendale, né tantomeno il genitore, i cui destini anche sotto il profilo penale sono minacciati dall’incidente: il giovane si incaricherà di ridurre a miti consigli la moglie dell’operaio, ovvero di transare, ma la situazione si rivelerà più complicata e infida del previsto.

Del potere e dei mezzi per non perderlo, ossia perpetuarlo, di padre in figlio, e il cadetto? Kadir sembra davvero strappato a un film di Farhadi, la sua parabola è quella dell’uomo al cospetto della società, ossia dell’individuo di fronte alle istituzioni, in primis la famiglia. Nacar ha la sensibilità per proiettare nel suo protagonista rettitudine e oltraggio, remissività e rigore, lavorando perfino sadicamente sulla non conciliazione degli – almeno vengono inquadrati come tali - opposti, ovvero vita e morale.

Lo fa con una sceneggiatura, a sua firma, calibratissima, di profonda intelligenza tanto drammaturgica quanto esistenziale, attori in stato di grazia e un precipitato etico da far tremare i polsi: che ne è dei bravi ragazzi di fronte alle brutte cose, rimangono bravi o diventano brutti?

Allora, segante: Selman Nacar, risentiremo parlare di lui. PS: distribuitelo, distribuite Between Two Dawns.