Con una storia del genere, Beast, l’acclamata opera prima di Michael Pearce rischiava di accomodarsi nel territorio confortevole del thriller un po’ fine a se stesso, ricalcando schemi risaputi e rincorrendo i fattacci della cronaca nera (benché ci sia l’evocazione della famigerata Bestia di Jersey, stupratore seriale che terrorizzò l'isola del Canale della Manica tra il 1960 e il 1971).

E invece l’autore fa del suo debutto un film stratificato, di pancia e di pensiero, recuperando il portato mitopoietico della favola, battendo le strade di un horror psicologico oltre che carnale incrociato – anzi, segnato – dal melodramma che è tale perché dominato da amore e morte.

Di Beast – che sin dal titolo sottolinea se non proprio rivendica l’adesione allo sguardo del mostro – intrigano la sua capacità di andare fuori dal percorso, il gioco con le figure archetipiche, il gusto di saltare l’ostacolo della banalità con mosse a volte didascaliche eppure funzionali alla tenuta del racconto, il vigore con cui tratteggia la solitudine di due anime frangibili in un contesto che ha il principale obiettivo di isolarle e annientarle dacché non le può annettere ed omologare.

Sullo sfondo di un Jersey messo in scena nella sua disarmonia tra una natura ribelle e aperta e una società severa e chiusa, Beast racconta l’incontro fatale tra Moll, ventisettenne frustrata perché soffocata da una famiglia autoritaria, e Pascal, giovane scapestrato e violento che non si sa bene da dove arrivi. L’attrazione è immediata, il dolore pure.

Quando sull’isola viene ritrovato l’ennesimo cadavere di una ragazza stuprata prima dell’uccisione, Pascal diventa il principale sospettato. Moll lo difende, anche quando tutto sembra accusare il suo amante. Ma chi è la vera bestia? Cosa c’è nel passato di Moll che riaffiora di fronte alle presunte azioni di Pascal? Qual è la verità?

La forza del film di Pierce risiede proprio nell’equilibrio temerario che tiene insieme la scoperta della pericolosità sociale ma anche nella relazione amorosa di Pascal con il progressivo rivelarsi delle zone d’ombra di Moll (l’incontro con la compagna di classe al negozio), la discesa nelle tenebre di una coppia di squilibrati e l’empatia “scandalosa” nei confronti di due corpi resi minacciosi anche perché emarginati o annullati da un consesso sociale ipocrita e perbenista.

E proprio grazie a questo sguardo audace che questo film cupo e disperato sa porsi problematico e complesso, perché non esistono eroi da sostenere ciecamente e non esiste un punto di vista che non sia parziale. Per i due interpreti, gli straordinari Jessie Buckley e Johnny Flynn, fu un trampolino di lancio.