All’opera seconda, Kantemir Balagov - acclamato prima a Cannes e poi a Torino col suo esordio Closeness - conferma di essere un cineasta di razza: Beanpole è un film che mostra allo spettatore l’intelligenza cinematografica del suo autore e la capacità di cambiare toni, stili e approcci senza perdere in efficacia e personalità.

Ambientato in Unione Sovietica, alla fine della seconda guerra mondiale, il film racconta di una donna altissima, da cui il soprannome di “spilungona” che dà il titolo al film, e del rapporto con un’altra donna, sua compagna d’armi, forse amante, che le lasciò il figlio durante la guerra e al suo rientro lo trova morto.

Sensi di colpa, riscatti e sentimenti diventano la legna con cui Balagov e Aleksandr Terekhov alimentano il racconto, dando spazio a personaggi e ambienti diversi per farne una grande storia sul prendersi cura degli altri.

 

Sembra senza un centro definito Beanpole, ma lo si scorge poco a poco, mentre il regista sembra divagare negli ambienti, nei contesti: il centro è il rapporto tra le due donne, le loro ombre che l’affetto reciproco illumina, e il loro rapporto riverbera sugli altri, sui personaggi che volta per volta entrano nel quadro e rendono un racconto intimo un vero e proprio affresco in sedicesimi di un sentimento, quello della pietà e della compassione, in un’epoca in cui i sentimenti erano ancora inariditi dalle bombe.

Balagov prende l’eredità di una tradizione narrativa tra le più grandi di ogni epoca e luogo e la fa sua grazie a un senso del cinema vivo, denso e prezioso, a un respiro dei personaggi che non perde mai la propria umanità anche in mezzo al dolore e alla tristezza assoluta (era anche il maggior pregio del suo film precedente) usando la densità della pellicola per valorizzare espressivamente colori e luoghi, come il verde che fa da sottile filo conduttore emotivo della vicenda.

Beanpole è un film profondo, intenso, che a volte pare perdersi ma che ha il pregio di un occhio e di un cuore dietro la macchina da presa capaci di comunicare qualcosa di universale eppure rarissimo come l’empatia, la voglie di occuparsi e voler bene a qualcun altro, sia un figlio o un estraneo.

Un sentimento da rispolverare mentre siamo inariditi dal mondo.