Sono passati tre anni da Bangla, che nel suo piccolo fu una rivelazione in grado di proporre un personaggio svincolato dai tipici schemi del cinema italiano: un italiano di seconda generazione che rivendica il diritto di raccontarsi in un quotidiano spesso ignoto ai suoi concittadini.

Aggiornando lo sguardo dei malincomici all’altezza degli effetti del multiculturalismo, Phaim Bhuiyan ritorna (con qualche ritardo dovuto alla pandemia e a vari impicci produttivi) e rilancia con la serie tratta dalla sua opera prima, otto episodi di circa mezz’ora che riprendono il filo del discorso dove si era interrotto: Phaim sul punto di consumare il primo rapporto sessuale della sua vita con la fidanzata Asia.

Naturalmente il problema della serie sta tutto qui: Phaim è musulmano osservante, non mette in dubbio il dogma della castità prima del matrimonio ma cova dubbi, gli piacerebbe sperimentare ma il misto di fede e consuetudini lo frena e soprattutto vorrebbe “fare un po’ come gli pare” alla stregua degli altri.

Per di più Phaim, che dovrebbe trasferirsi a Londra con tutta la famiglia per lavorare nel ristorante di un cugino, è costretto a restare a Torpignattara perché il parente di stanza a Londra ha cambiato piani. Insieme a genitori e sorella si trasferiscono a casa di altri parenti e una cugina che non ha mai visto prima lo manda in crisi più del dovuto.

Sullo sfondo di una Roma periferica, luminosa anche quando è ripresa in notturna, che pullula di localini per passare le serate e sui palazzi si slanciano le opere dello stree artist Millo, Bangla – La serie mette in scena una città autentica, dove l’integrazione è un processo in fieri, il razzismo resta una maledetta consuetudine di sacche rumorose e le giovani generazioni aiutano gli adulti a favorire dialoghi e incontri.

Bhuiyan (coadiuvato in regia da Emanuele Scaringi) mette al centro il suo corpo comico, dinoccolato e buffo, mentre attraversa la città cercando un lavoro che lo collochi nel mondo, il momento giusto per fare l’amore, in definitiva il se stesso che vuole essere lontano dal ruolo che gli altri hanno pensato per lui.

L’ambizione di fare qualcosa di diverso si incanala nei fatti soprattutto nella scelta di un formato internazionale, agile, che segue le tappe del dramma umano con voltaggio umoristico, con uno spirito profondamente romano per fatalismo e reso buffo dall’incrocio con i riti e i costumi della cultura d’origine.

Bangla – La serie è anche il modo con cui la Rai racconta una generazione aperta e liquida, offrendo una chiave di lettura della realtà sintonizzata sul contemporaneo e non sulla sua copia conforme nonché uno specchio nel quale far riconoscere giovani in cerca d’identità e bisognosi di narrazione alternative.

Il tono è suggerito anche dall’ottimo contrappunto musicale (in colonna sonora la stupenda Mia di Giovanni Truppi, cantata con Calcutta), il cast di contorno funziona (in primis Pietro Sermonti, che come caratterista buffo e divertito ha ormai trovato una sua dimensione), la simpatia che trasmette fa condonare qualche ingenuità (la troppa fiducia nella voce narrante, i momenti che accadono solo nella mente di Phaim). Potenzialmente potrebbe avere altre stagioni perché apre le porte su un mondo poco o niente raccontato.