Dopo la morte del fratello più piccolo per mano della polizia o presunta tale, il soldato Abdel (Dali Benssalah) viene richiamato dalla prima linea e nella banlieue in cui è cresciuto, Athena, trova una famiglia dilaniata e una comunità sul piede di guerra: la Francia brucia, se non si può avere giustizia, almeno vendetta. Il fratello minore Karim (Sami Slimane) è il capo carismatico della rivolta, il maggiore Moktar (Ouassini Embarek) pensa solo a preservare droga e armi, ma l’orizzonte è comune: no future. Mentre Athena è sotto l’assedio delle forze dell’ordine, Abdel, Karim e Moktar triangoleranno in una escalation senza esclusione di colpi: quanto è vicina la tragedia, quanto ineluttabile?

Opera terza di Romain Gavras, figlio di Costa, scritta con Ladj Ly, cui si deve il “gemello diverso” Les miserables (2019) ed Elias Belkeddar, Athena è in concorso alla 79esima Mostra di Venezia e, targato Netflix, arriverà sul servizio streaming il prossimo 23 settembre.

Diciamolo subito, è quel prodotto che sulla piattaforma uno, e segnatamente il pubblico giovanile, si aspetta di vedere: Gavras, che viene dal videoclip, per Kanye West, M.I.A., etc,, confeziona il prologo in un virtuosistico pianosequenza di quasi un quarto d’ora che tanto deve all’action d’autore, da Children of Men a 1917 e Atonement, e altrettanto all’hip-hop per foggia, iconografia e mood. Bene, anzi, più che bene: la regia, ancorché di una nota sola, ovvero hyper, hyper, sa il fatto suo: guerrilla (urbana) style, coreografie parossistiche, traccianti per vettori, rivolta à la carte. Sì, bene, ma quante volte lo abbiamo già visto? Dal citato I miserabili a Banlieu 13, indietro fino al seminale L’odio, l’imbarazzo non è solo della scelta, eppure Gavras è così veloce, forsennato addirittura, che se non lascia spazio all’introspezione piscologica nemmeno concede allo spettatore tempo per richiederla: avanti, a forza massima.

Nondimeno, le debolezze sono evidenti: si può tirare in ballo la tragedia greca, persino fare l’occhiolino ad Antigone, ma che in una sola famiglia ci sia vittima, soldato, ribelle e spacciatore troppa grazia, e non bastasse giù d’accetta anche col poliziotto bianco e verginello, il reduce bombarolo dell’Isis e le molotov ad libitum.

Poco importa, pretendere da Netflix un’autentica critica al sistema sarebbe scimunito, potrete compiacervi di questa tranche de vie, e de mort, sulle barricate, di questa gita fuoriporta nel blocco senza sensi di colpa, ma fino a un certo punto.

Movimentata e puntuale la camera, pirotecnico lo, ehm, scontro di civiltà, Gavras, sì, ci sa fare, ma dovrebbe sottoporre – avrebbe dovuto – il finale a cotanto padre: che c’azzecca lo spiegone poliziotto buono e fascista cattivo, lo dobbiamo a un regista pavido o a Netflix conservatrice? In un caso o nell’altro, un insulto allo spettatore.