Il Nilo non vale l’Oriente Express. Sempre di assassinio si tratta, per la penna di Agatha Christie e per la regia di Kenneth Branagh, ma la seconda volta non vale la prima: Assassinio sul Nilo con ogni probabilità non bisserà i 352 milioni di dollari incassati nel mondo – 14 milioni e 637mila euro la munifica tranche italiana – da Assassinio sull’Orient Express a cavallo tra 2017 e 2018, e non c’entra solo la pandemia ma una sensibile diminuzione di scala, dal cast all’appeal, della rentrée.

Ecco, gli attori e le attrici: là avevamo, al seguito dei riconfermati Branagh quale Hercule Poirot e Tom Bateman Bouc, Penélope Cruz, Willem Dafoe, Judi Dench, Johnny Depp e Michelle Pfeiffer, qui Annette Bening, Russell Brand, Gal Gadot e – in quota disgrazia ancor più di Depp - Armie Hammer.  I nomi son quelli che sono, e se non bastasse si fa a gara di recitazione alimentare: svogliati, stracchi, opacissimi, malgrado il romanzo del 1937 che si adatta lavorasse sagacemente sul caos emotivo e sulle conseguenze letali dell’ossessione amorosa.

Molto Nilo per nulla, peraltro spurio, dislocato e ricostruito in CGI (tremenda!) come il tempio di Abu Simbel e compagnia egizia, sicché la vacanza in Egitto dell’investigatore belga Hercule Poirot a bordo di un elegante battello a vapore imbarca acqua più che suspense, noia più che curiosità, castigo – il nostro – più che delitti. Girato con cinepresa 65mm Panavision alla fine del 2019, è troppo recente per essere vintage e troppo stantio per essere nuovo: metteteci che il libro è notorio, ed ecco, quale senso dovremmo trovare nell’idillio di Linnet Ridgeway (Gadot) e Simon Doyle (Ammer)?

Branagh ha preso il libro della Christie, e s’è persuaso come Renato Zero: “ma il triangolo io lo rifarei...”, purtroppo per noi. Diorama sul Nilo.